sabato 5 agosto 2017

Una storia di ordinario lobbismo

Lo scandalo delle emissioni diesel è anche e soprattutto una storia di ordinario lobbismo a Berlino e a Bruxelles: senza la stretta collaborazione del governo con la lobby dell'auto tedesca non si sarebbe mai arrivati a questo punto. Lo mostra chiaramente uno scambio di e-mail fra il lobbista capo di Daimler, Eckart von Klaeden, ex Ministro tedesco, e gli uffici della Cancelleria di Berlino. Da Der Spiegel
Il lobbista capo di Daimler, Eckart von Klaeden, è riuscito ad intervenire con successo presso la Cancelleria tedesca nella definizione delle regole sui test per la misurazione delle emissioni - per farlo l'ex ministro ha utilizzato i suoi vecchi contatti.

Lo scandalo delle emissioni diesel, senza la vicinanza fra il governo tedesco e il settore automobilistico non sarebbe stato affatto pensabile. Cosi' anche il lobbista capo di Daimler, Eckart von Klaeden, si è speso con successo per ottenere dal governo tedesco dei test sulle emissioni dei diesel meno severi. 

Il 18 marzo 2015 Klaeden scrive una e-mail al capo del Dipartimento di Politica Economica presso la Cancelleria, Lars-Hendrik Röller. Nella mail chiede al governo federale "di riconsiderare" la propria posizione nei confronti dei piani della Commissione UE.

Appena una settimana dopo gli stati membri dell'UE intendevano infatti votare sui nuovi metodi di misurazione delle emissioni RDE ("Real Driving Emissions"), con i quali le auto prima di essere ammesse alla circolazione dovevano essere testate in condizioni di guida reali. Klaeden nella mail metteva in guardia: "cio' che potrebbe sembrare in un primo momento solo come una decisione tecnica minore, potrebbe invece avere enormi conseguenze per l'industria automobilistica tedesca, nella misura in cui influenzerà il futuro utilizzo dei motori diesel". La proposta della Commissione UE "non poteva essere accettata".

Lo stesso giorno di Klaeden, presso il capo dell'ufficio di Cancelleria  Peter Altmaier si fa sentire per e-mail anche il Presidente dell'Associazione Automobilistica tedesca (VDA), Matthias Wissmann, il quale si dichiara a favore di un "pacchetto complessivo realistico". I funzionari della Cancelleria redigono allora per Altmaier una "presa di posizione" nella quale è scritto che in occasione della riunione a Bruxelles si chiederà al Ministero dell'Ambiente e al Ministero dei Trasporti "di affrontare esplicitamente le preoccupazioni espresse da VDA e Daimler" in merito ai metodi di misurazione e di "prendere in considerazione, all'interno di ulteriori discussioni", il concetto di un "pacchetto complessivo realistico", proposto da Wissmann.

Il governo federale tedesco dopo l'intervento dei lobbisti ha poi modificato la sua linea politica cancellando la data specifica per l'introduzione dei test RDE dalla sua proposta. Anche nella decisione in merito al regolamento finale, presa nell'autunno 2015, il governo è andato incontro alle necessità dei produttori di auto.

Eckart von Klaeden dal 2009 al 2013 è stato Ministro di Stato presso la Cancelleria, prima di passare alla casa automobilistica di Stoccarda Daimler. La transizione immediata del politico della CDU, all'epoca aveva causato un certo risentimento, anche all'interno del suo stesso partito.

Una imbarazzante messa in scena

Su Die Zeit un commento molto interessante in merito al vertice sul diesel di mercoledì a Berlino: è stata una imbarazzante messa in scena che ha cercato di rivendere come un successo della politica un rimedio ampiamente insufficiente che probabilmente non servirà a nulla. E' evidente la totale collusione fra il lobbismo del settore auto e il governo tedesco. Petra Pinzler su Die Zeit.


Mettiamo che ci sia un panettiere che prepara del pane tossico. A causa di cio' alcune persone si sentono male. Molto probabilmente le autorità competenti si accanirebbero contro la sciatteria del forno. Ammonirebbero, infliggerebbero ammende e se le cose non dovessero cambiare chiuderebbero il panificio. Noi lo chiamiamo stato di diritto.

Ma se l'industria automobilistica per anni inquina l'aria facendo ammalare migliaia di persone, allora valgono altre regole, che da oggi sappiamo quali sono: le autorità competenti volgono lo sguardo da un'altra parte e modificano il diritto esistente fino a quando questo non si adatta perfettamente al reato commesso. Il Ministro dei Trasporti competente Alexander Dobrindt (CSU) non si è mai preoccupato di rivolgersi alle iniziative ambientali che hanno fatto emergere lo scandalo. Solo quando la truffa è diventata cosi' plateale da non poter essere piu' messa a tacere, ha deciso di organizzare a Berlino un vertice sul diesel insieme al Ministro dell'Ambiente Barbara Hendricks (SPD) e ai boss del settore auto.

Ma ancora prima di comparire davanti alla stampa, la VDA, l'associazione di categoria della lobby automobilistica, invia alla stampa il suo comunicato sui risultati del vertice. Ma dove siamo?

Non solo in Germania per alcuni si applica la legge mentre per altri si organizzano i vertici. Ma per il Ministro dei Trasporti è assolutamente indolore rivendere i risultati del meeting come se fosse stato un successo. (La campagna elettorale è alle porte). Come se avesse davvero ottenuto qualcosa a vantaggio dei cittadini. E il suo capo  Horst Seehofer (CSU) gli fa un assist rallegrandosi del fatto che "tutti i produttori si sono fatti carico delle loro responsabilità". Ci sarebbe da vergognarsi per loro.

Bisogna ricordarsi la sequenza degli avvenimenti per comprendere la gravità di questo comportamento: non solo c'è un'industria che truffa i suoi clienti vendendogli auto che non possono garantire le prestazioni che la pubblicità ha promesso. Un settore che con una condotta truffaldina costringe milioni di persone a respirare un'aria pericolosamente sporca ottenendo profitti record. E ora il governo federale gli permette ancora una volta di non rimediare ai danni fatti, ma di potersene uscire con misure del tutto inadeguate.

Rivendere un rimedio inadeguato come una generosità

Concretamente: cio' che il governo federale ha concordato con l'industria automobilistica tedesca non servirà a ripulire l'aria delle città. Non servirà a rientrare nei limiti. Il Ministro dell'Ambiente Barbara Hendricks lo ha addirittura ammesso dopo il vertice: "sui livelli di ossido di azoto anche in futuro probabilmente resterà  un gap da colmare".

E questo perché sui 5.3 milioni di veicoli diesel in circolazione i boss del settore auto si sono impegnati solo ad un modesto aggiornamento del software. Anche sui diesel che soddisfano le norme Euro 5 ed Euro 6. Tutti i possessori di auto piu' vecchie resteranno a bocca asciutta. "Abbiamo scelto di impegnarci nello sviluppo di nuovi modelli, invece di migliorare i vecchi motori", ha detto il capo di VW Matthias Müller. Gli altri leader del settore si sono mostrati d'accordo.

Una cosa è sembrata chiara: per i partecipanti al vertice i divieti di circolazione, anche per i diesel piu' vecchi, sono impensabili. Fortunatamente a decidere se l'aria è pulita come dovrebbe essere secondo la legge saranno i tribunali tedeschi. Ma affinché cio' sia anche solo ipotizzabile, i diesel in circolazione dovrebbero essere attrezzati con dei catalizzatori. E questo per i produttori, con costi di circa 1500 € per auto, è troppo oneroso. I costruttori vorrebbero offrire ai possessori di auto piu' vecchie la possibilità di comprare delle auto piu' moderne grazie a degli incentivi pubblici: non intendono in alcun modo pagare per i loro peccati, ma vorrebbero trasformare la truffa in un programma di stimolo per gli acquisti.

Resta come conclusione: i produttori di auto, anche dopo il vertice sul diesel, ancora una volta non faranno quello che le autorità competenti da tempo avrebbero dovuto imporre. Hanno cercato di rivendere come un atto di grande generosità un rimedio ampiamente insufficiente. E la politica ancora una volta accetta che l'industria dell'auto la  faccia franca. Che imbarazzante messa in scena.

martedì 1 agosto 2017

Jakob Augstein su Der Spiegel: "l'industria automobilistica tedesca come la criminalità organizzata"

Jakob Augstein è un commentatore storico di Der Spiegel nonché direttore di Der Freitag. Questa volta sul prestigioso settimanale di Amburgo se la prende con l'industria automobilistica e con la politica tedesca: lo scandalo delle emissioni diesel rappresenta il fallimento della politica tedesca, la commistione fra l'industria dell'auto e la politica è totale, i metodi sono quelli usati dalla criminalità organizzata. Da Der Spiegel.

La definizione ufficiale per descrivere la criminalità organizzata secondo il Ministero degli Interni e della Giustizia tedesco è la seguente: "per criminalità organizzata sono da intendersi quei reati commessi sistematicamente e finalizzati al profitto o all'acquisizione di potere, che singolarmente o nel complesso sono di notevole importanza, e che prevedono la cooperazione di almeno 2 persone per un lungo periodo di tempo...anche esercitando influenza sulla politica, i media, l'amministrazione pubblica, la giustizia o l'economia".

Secondo questa definizione una larga parte dell'industria automobilistica tedesca potrebbe essere ricondotta al crimine organizzato. "Reati commessi sistematicamente" - cosa altro sarebbero le menzogne sui gas di scarico, e cioè la simulazione di valori di emissione estremamente favorevoli grazie ad un software truffa appositamente sviluppato? E cosa altro sarebbero gli accordi di cartello fra le 5 case automobilistiche tedesche, se le recenti notizie pubblicate da Der Spiegel dovessero essere confermate?

Prima la carriera nel governo, poi nei gruppi automobilistici

Probabilmente la quantità e la durata delle violazioni, quasi sistematiche, operate dall'industria automobilistica tedesca è cosi' grande che se le aziende decidessero da un giorno all'altro di voler adempiere alla legge, di fatto sarebbero costrette a fermare la produzione. Dopo tutto i dipartimenti di comunicazione dei gruppi automobilistici non dovranno piu' pensare ad un nuovo slogan pubblicitario: "il piacere di guidare" (BMW), lo si puo' provare anche con un auto a cui non è stata vietata la circolazione. Oppure "all'avanguardia della tecnica" (Audi), era corretto nella misura in cui a quanto pare tutti i mezzi tecnici disponibili erano utilizzati per la frode commerciale.

"Il nostro interesse principale è un business onesto", aveva detto il CEO di Daimler, Zetsche, all'inizio del 2013. Le cose non stanno proprio cosi'. Ci sono affari sporchi, dai quali tutti i partecipanti hanno tratto profitto. La truffa dei gas di scarico, ad esempio, è un sistema di mutua complicità che unisce industria, governo e gli acquirenti delle auto. E tutti vivono felici secondo il motto della vecchia canzone di Doris Day: "Que sera, sera" - sarà quel che sarà, e nessuno pensa al domani.

Gli scandali dell'industria automobilistica rappresentano il fallimento della politica tedesca. Nessuna meraviglia: l'industria automobilistica è una filiale esterna del governo federale - e forse anche il governo federale è un ramo del settore auto.

In ogni caso Daimler dà lavoro come capo-lobbista all'ex Ministro della Cancelliera. Per VW lavora un ex-portavoce del governo federale, nonché ex-capo dell'ufficio di Merkel. L'associazione dei produttori di auto è guidata da un ex Ministro dei Trasporti federale. E il suo successore, attualmente in carica, il politico Dobrindt, si comporta  come se anche lui dopo la politica mirasse ad una brillante carriera nel settore.

C'è bisogno di un giudice per obbligare i Verdi a difendere l'ambiente

Quando la politica fallisce, la magistratura è l'ultima linea di difesa. Lo scorso venerdì il Tribunale Amministrativo di Stoccarda ha stabilito che il piano locale per il controllo dell'inquinamento è insufficiente e che il governo regionale dovrà emanare dei divieti di circolazione per le auto diesel. E in questo caso la città e la regione sono saldamente nelle mani dei Verdi. Solo per la cronaca: c'è bisogno di un tribunale per obbligare i Verdi a rispettare le leggi per la protezione delle persone e dell'ambiente.

Il leader dei Verdi in Baden-Württemberg è Winfried Kretschmann, Presidente della Regione, ma anche il politico di maggior successo e il piu' popolare all'interno del suo partito - e questo fatto, nei confronti dell'industria automobilistica, è l'incarnazione della miseria politica.

Kretschmann è esattamente il simbolo di cio' che è andato storto nel corporativismo tedesco. Si è davvero sforzato. Voleva tenere tutto sotto uno stesso tetto: una industria automobilistica fiorente, proprietari di auto felici, aria pulita, e garantirsi anche delle buone chance di essere rieletto. "Che cosa pensa, come sarebbe possibile altrimenti arrivare al 30%?" aveva detto in un'intervista, e: "solo se siamo forti e al governo possiamo davvero cambiare qualcosa". Ma è già da molti anni al potere - e la nuvola carica di sporco sopra Stoccarda non si è ancora spostata.

Perché? Perché Kretschmann è diventato l'utile idiota dei Verdi al servizio dell'industria automobilistica. Prima ha promosso un vertice, poi fatto una proposta di compromesso e poi alla fine ha concesso un altro periodo di tempo. Non poteva immaginare tutta l'arroganza e l'avidità del settore automobilistico. Il Ministro dei Trasporti si è sempre dato da fare per i boss del settore - e ogni volta l'hanno lasciato appeso al gancio. Come nel caso dell'installazione di un catalizzatore sui diesel piu' vecchi e sporchi dove nessuno gli è andato incontro. E anche dei presunti accordi di cartello fra le case automobilistiche è venuto a conoscenza solo dai giornali. 

Sono evidenti i tipici sintomi della malattia dell'intero sistema. Corruzione, oligarchia e una sfera politica paralizzata; tutti appartengono ad un capitalismo in fase di declino. E' un po' come accadeva con le banche fino ad un po' di tempo fa: le aziende automobilistiche pensano ancora oggi di essere troppo grandi per fallire - ma la loro dissolutezza morale danneggia tutti noi.

E anche un'altra cosa: quando si tratta di giudicare Donald Trump, i tedeschi potrebbero risparmiarsi tutta la loro superbia.

sabato 29 luglio 2017

Un giorno all'Arbeitsamt nella ricca Monaco di Baviera

Hartz IV dovrebbe essere un sistema di sicurezza sociale pensato per aiutare le persone in stato di necessità. Per molti disoccupati e sottooccupati invece si è trasformato in un sistema vessatorio ed inutilmente burocratico dove l'unico scopo sembrerebbe essere quello di scoraggiare le persone che effettivamente hanno bisogno di aiuto. La Abendzeitung racconta un giorno qualsiasi in un Jobcenter della ricchissima Monaco di Baviera. Da abendzeitung-muenchen.de


Sono le dieci al Job-center di Monaco Pasing. Dalla sala riunioni esce una donna sulla cinquantina, schiena curva, le mani serrate intorno ad un bastone da passeggio. Piange. 

La donna si chiama Alaya e da quasi un anno vive senza soldi. Durante il suo lavoro come donna delle pulizie è scivolata nella doccia e da allora non riesce piu' a camminare correttamente. L'AOK (cassa malattia) e l'associazione di categoria non riescono a mettersi d'accordo se si tratta di un incidente sul lavoro e sulla responsabilità. 

Fino a quando questa problema non viene risolto, Alaya non riceverà un sussidio di disoccupazione, sebbene ne abbia diritto. La scorsa settimana le è stato consigliato di fare domanda per Hartz IV. E per questa ragione oggi è venuta al Jobcenter.

Ma il certificato del medico relativo alla sua sua impossibilità di lavorare non è ancora arrivato al Jobcenter. Per questo le hanno dato un appuntamento per l'inserimento lavorativo. Se non si presenta sarà sanzionata. E' al suo settimo appuntamento in un ufficio questo mese. Sulla guancia di Alaya scorre una lacrima.

4.3 milioni di persone in Germania percepiscono un sussidio Hartz IV. Quasi il 10% di loro lo scorso anno è stato sanzionato dal Jobcenter. Essere sanzionati significa una decurtazione parziale o totale dell'indennità. Ogni mese a circa 7.700 persone viene tagliato l'intero sussidio di disoccupazione. Devono farcela senza soldi. Se questa pratica dal punto di vista costituzionale sia legale o meno è un tema ancora controverso.

E' possibile tagliare "un salario di sussistenza? Nell'agosto del 2016 il Tribunale Sociale di Gotha ha portato la questione davanti alla Corte Costituzionale. Ci sarà un giudizio nei prossimi mesi: le sanzioni ledono la dignità delle persone?

E' un triangolo delle Bermuda per i documenti

Michael Kuhn - 31 anni, andatura goffa, voce nervosa - è seduto su una delle panche di legno nel corridoio del Jobcenter e aspetta che il suo numero sia chiamato. Per l'ennesima volta questo mese. Deve presentare un documento, ancora una volta. 

Fino a quando non ci sono tutti i documenti il Jobcenter non può trattare la sua richiesta. E fino a quando la sua richiesta non viene elaborata, non riceverà nessuna indennità di disoccupazione. Ma c'è sempre un documento che manca. "Ogni volta", dice Kuhn, "chiedono documenti, che io ho già consegnato da tempo".


L'avvocato Sonja Hein-Schneide definisce i Jobcenter tedeschi come un "triangolo delle Bermuda". Un "triangolo delle Bermuda" per i documenti. "Quando chiediamo l'accesso agli atti", racconta, "negli atti troviamo spesso proprio quei documenti che secondo i Jobcenter sarebbero mancanti".

C'è bisogno dell'estratto conto del mese di dicembre, dice la signora del centro per l'impiego. "Io non ce l'ho", risponde Michael Kuhn. Si guarda le mani. "E' un conto Wirecard, non è possibile stampare gli estratti". Cosa si puo' fare? La signora del Jobcenter non è sicura. Kuhn vorrebbe chiedere a Herr L. (impiegato del Jobcenter). Dovrebbe essere qui in poche ore. "Va bene", dice Kuhn.

Una volta un'impiegata del Jobcenter gli ha anche detto di capire perché la gente qui impazzisce. Sempre in attesa. Porta i documenti. Porta altri documenti. Aspetta. "Non c'è da meravigliarsi se le persone impazziscono e prima o poi si danno fuoco", gli ha risposto - e la signora del Jobcenter ha subito chiamato la sicurezza. 2 uomini grandi e robusti "che sembravano i muppets", dice Michael Kuhn.

"Il problema", afferma Martin Steidl, "di solito non è la malafede dei lavoratori dei Jobcenter, ma il sovraccarico di lavoro". Steidl è stato per quasi 30 anni impiegato in diversi Jobcenter in Germania. Da quando nel 2015 è andato in pensione lavora come volontario per il centro di consulenza per i disoccupati di Ver.di.

"L'intero sistema Hartz IV è stato progettato per fare in modo che per i disoccuppati sia il piu' difficile possibile ottenere soldi dallo stato", spiega Steidl. "Si chiama aiuto auto-repellente". Questo significa che "per ricevere l'aiuto dello stato è necessario superare degli ostacoli  cosi' alti che molte persone sono scoraggiate anche solo dal provarci".

Gli impiegati sono pochi e hanno troppo da fare

Quello di cui ci sarebbe davvero bisogno è una maggiore attenzione per gli utenti dei Jobcenter. "Ma i dipendenti sono pochi e hanno troppo da fare - e per farlo non hanno molto tempo".

Ci sarebbe bisogno dell'estratto conto bancario di dicembre, dice Herr L. del Jobcenter. "Non ce l'ho", risponde Michael Kuhn. "Oh" dice Herr L. Non è possibile chiarirlo in qualche altro modo, chiede Kuhn. Herr L. non è sicuro: "ho inoltrato il suo caso all'ufficio legale", e dice. "Io stesso non posso piu' nemmeno visionarlo". "Va bene" dice Kuhn.

"Questo sistema è stato progettato in maniera cosi' complicata, che non si riesce nemmeno a capire come funziona", dice Tina Mayer - riccioli castani, occhi truccati di nero - si trova davanti al Jobcenter di Monaco Pasing e guarda con occhi socchiusi verso l'edificio. "Mi sto veramente arrabbiando".

Mayer è una madre single e lavora part-time. Poiché i suoi 830 euro mensili non sono sufficienti per sbarcare il lunario insieme alle sue due figlie, ha diritto ad integrare il suo salario con un sussidio Hartz IV.

Almeno fino a tre mesi fa, visto che la sua figlia piu' grande è diventata maggiorenne. "E secondo l'Arbeitsamt ora dovrebbe essere in grado di contribuire al bilancio familiare con il proprio reddito, per questa ragione mi hanno tagliato il sussidio", ci dice.

"Ogni volta che vengo qui, c'è sempre qualcosa che manca"

Sua figlia ha appena finito il liceo, non lavora e quindi non puo' contribuire al bilancio familiare: ha dovuto provarlo al Jobcenter. "Ma ogni volta che vengo qui c'è sempre qualcosa che manca", dice Mauer. Nei mesi scorsi ha fatto debiti, molti debiti: "con 830 € al mese per 3 persone è impossibile pagare l'affitto, i vestiti e il cibo".

Il vero nome di Tina Mayer è un altro. Come per Alaya. Uscire sui giornali con il loro vero nome o la loro foto per entrambe non è proprio possibile. Hanno paura di essere sanzionate dal Jobcenter se si lamentano.

"Non si sa mai quello che puo' succedere", dice Mayer. "Una cosa che ho imparato in questi mesi: quelli del Jobcenter hanno sempre ragione". Sempre."

lunedì 24 luglio 2017

2018 - Odissea in Piddinia

Tobias Piller è il corrispondente dall'Italia per la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Sulle pagine del prestigioso quotidiano di Francoforte non perde occasione per raccontare ai tedeschi quanto la situazione italiana sia ormai irrecuperabile e il collasso del Belpaese alle porte. Per Piller, e probabilmente per molti lettori della FAZ, l'Italia resta un paese caotico ed inefficiente, un paradiso di bellezza abitato da un popolo incapace di pensare al futuro. Il giornalista si lancia poi in una profezia funesta: il 2018 sarà l'anno del collasso generale! Grazie Claudio per l'ottima traduzione. Da FAZ.net


All'Italia mancano gli strumenti per un nuovo slancio. La perenne campagna elettorale e una montagna di problemi quotidiani tengono il Paese paralizzato. Il prossimo anno si fa dura

Non è trascorsa nemmeno una settimana nella quale sui giornali italiani non siano comparse brutte notizie: banche stremate, immigrati straziati, caos politico. Il presente di questo superbo Paese è tutt'altro che roseo. Ma la nota più negativa è che l'Italia ha tutte la carte in regola per diventare l'epicentro della crisi europea nel 2018. Fra tutti i Paesi che hanno preso parte al recente G20 l'Italia è quello con le peggiori previsioni di crescita. Anche per questo il debito pubblico è il più elevato di tutti dopo quello giapponese. Eppure questi paragoni internazionali, in particolare quelli che consegnano risultati tanto amari per l'Italia, non interessano la politica romana.

A Roma ruota tutto attorno alle manovre politiche che al momento permettono ai loro protagonisti di restare tranquilli ai loro posti, l'attenzione ricade sugli spettatori nelle innumerevoli discussioni televisive o sul favore riscosso tra gli utenti internet. La stessa crisi dei migranti – con 80.000 sbarchi registrati dall'inizio dell'anno – non partorisce alcuna discussione approfondita in merito alle possibili soluzioni, bensì solo le declamazioni più incisive possibili per le telecamere: “Le ragioni di queste decisioni perverse, in seguito alle quali tutti i migranti sbarcano in Italia, vanno ricercate in oscuri accordi stipulati dal governo Renzi” dice Renato Brunetta, capogruppo del partito di Silvio Berlusconi. Il grande ammiratore della Le-Pen e leader della Lega Matteo Salvini è invece assai più coinciso: “L'Italia sta diventando un immenso campo profughi”.


Solo il 40% dell'acqua piovana

Ci sono parecchi problemi da risolvere intorno alla questione del flusso migratorio. Per anni infatti l'Italia si è abituata a dirottare i nuovi arrivati in direzione Austria e Germania. Adesso invece i profughi, una volta sbarcati, vengono registrati e devono rimanere in Italia. Però 5300 sindaci su 8000 non vogliono alcun centro d'accoglienza sul loro territorio. Perciò gran parte dei 4,5 miliardi di euro destinati all'alloggiamento dei migranti finiscono a delle cooperative non sempre limpidissime, alcune delle quali hanno come unico obiettivo quello di intascarsi il denaro. Questi problemi sono noti da tempo ma l'Italia resta ancora lontana dal poter garantire controlli efficaci e capillari. Molto più semplice lamentarsi continuamente del disinteresse dell'Europa, dal momento che Austria, Germania e gli Stati dell'Europa dell'Est non vogliono farsi carico dei migranti.

Lo stato di emergenza riguardante l'accoglienza e l'assistenza dei migranti è solo uno dei grandi problemi del Paese: vi si aggiungono altre questioni della vita di tutti i giorni. L'agenda quotidiana viene puntualmente scossa da nuovi scandali e spesso le criticità sono rappresentate da problemi ben noti. In questo momento l'Italia sta registrando un'ondata di calore straordinaria e si viene a scoprire – solo adesso – che nel 2017 le piogge ammontano solamente al 40% della media abituale. Il raccolto di riso nella Pianura Padana è minacciato, mentre una gran parte di quello del mais è già andato perduto. I Presidenti di diverse Regioni intendono proclamare lo stato di calamità in modo da ricevere degli indennizzi dallo Stato. Investimenti di lunga durata finalizzati al risparmio idrico nell'agricoltura? Quelli possono pure attendere...

Problemi abituali con l'aggiunta di qualche sgradita sorpresa

Quest'anno però l'emergenza idrica colpisce anche i cittadini che finora ne erano stati risparmiati. Che nelle zone interne della Sicilia città di anche 100.000 abitanti in estate abbiano accesso all'acqua solo ogni due o tre giorni rientra nella normalità. Ora però l'acqua viene razionata anche nell'hinterland napoletano e alcuni paesini vengono riforniti solo grazie alle autobotti. Le notizie riguardanti la penuria idrica sono anche in questo caso accompagnate dai dati circa la perdita d'acqua causata dalle condutture malfunzionanti: a Roma, secondo le statistiche, tali perdite ammontano al 43% dell'acqua trasportata, a Palermo al 45% e a Firenze al 46% (poco meno del 40% la media nazionale). Il Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti tuona: “Non è più tollerabile che ogni anno per alcune città il periodo di siccità si tramuti in un problema di approvvigionamento idrico”. 

A queste emergenze “abituali” si aggiungono altre sgradite sorprese come gli incendi che d'estate colpiscono le aree boschive. Si presume che alcuni di questi vengano appiccati dai forestali “stagionali” che in questo modo hanno la possibilità di prolungare il loro periodo lavorativo (e con ciò anche i loro stipendi). Quest'anno però è emerso che intere zone siano sprovviste di velivoli antincendio. I media riferiscono che, in seguito all'accorpamento dei forestali nel Corpo dei Carabinieri, la questione circa la capacità operativa dei mezzi antincendio sia stata notevolmente trascurata.

Cumuli di macerie nei paesi degli Appennini

La lista delle emergenze e dei disguidi nazionali prosegue senza sosta. A Roma il deposito dei rifiuti è stato chiuso; in mancanza di inceneritori però una gran parte dei rifiuti viene portata all'estero con i treni. A Napoli un edificio di quattro piani è crollato. Il ponte autostradale crollato a maggio nei pressi di Ancona è solo uno dei tre casi analoghi di cedimento verificatisi in sei mesi. Sempre a Roma uno sciopero di 24 ore indetto da due minuscole sigle sindacali ha paralizzato l'intera città: la motivazione era quella di opporsi a qualunque ipotetica proposta di privatizzazione delle linee dei bus e di rivendicare il “diritto allo sciopero”. A Roma ci sono a stento due linee e mezzo di metropolitana per una copertura di 44 km, un paio di tram obsoleti e bus consumati, senza i quali però il traffico va in tilt. Inoltre resta ancora un mistero il motivo per cui un terzo dei bus cittadini sia bloccato in deposito per manutenzione, mentre i meccanici delle officine dei bus il pomeriggio lavorano altrove. Da una parte non si trova il denaro per acquistare i pezzi di ricambio, dall'altra però si incoraggia l'acquisto delle ruote dei bus in modo da alimentare i fondi neri. Si è scoperto che un sindacalista operava da intermediario e grazie ai prezzi gonfiati riusciva a mettere da parte fino a 7 milioni di euro, ufficialmente per la mensa ma certamente anche per affari privati.

Se l'organizzazione quotidiana risulta così difficoltosa, non sorprende certo che le conseguenze dei terremoti verificatisi ad agosto e ottobre 2016 non siano ancora state superate. Nei paesini degli Appennini ci sono ancora cumuli di macerie. Di recente il sindaco del Comune di Visso ha dichiarato che se non verranno intraprese delle contromisure nessuno dei vecchi abitanti tornerà in paese.

Le emergenze a lungo termine cadono nel dimenticatoio

È possibile far peggiorare ancor di più questo stato d'emergenza? Sì, è possibile; e le cause sono molteplici. In Italia i politici si sentono impotenti dal momento che nessuno può prendere una decisione senza prima aver consultato tutte le autorità competenti in materia. Quando qualcuno alla fine osa intraprendere un'azione, corre il rischio di violare una delle 100.000 disposizioni in vigore, di finire a processo (per un indefinito numero di anni...) per via di una quisquilia e magari di dover anche pagare un risarcimento di parecchie migliaia di euro. C'è poi anche un conflitto di potere tra i diversi livelli decisionali ma soprattutto ci sono le prassi imposte dal clientelismo politico, secondo le quali ogni occasione è buona per ricompensare i propri raccomandati con posti di lavoro, incarichi e denaro. E quando sussiste il pericolo che un avversario riesca a mettere le mani su un incarico – e sulle relative prebende – si passa al contrattacco cercando di bloccare tutto nella speranza di propizi incroci politici.

A parte questi bassi istinti, progetti a lungo termine miranti a risolvere gli annosi problemi italiani rappresentano un'ardua impresa. Molto più appetibile impiegare le risorse a disposizione in provvedimenti come “il bonus aggiornamento docenti” o “il bonus cultura ai 18enni” (in entrambi i casi del valore di 500 Euro), oppure promettere la quattordicesima per le pensioni più basse, 400 Euro mensili di sussidio per i nuclei familiari più poveri e un bonus (al cui finanziamento si provvederà solo in un secondo momento) per le pensioni minime future dei giovani italiani. In prossimità del referendum del dicembre scorso Matteo Renzi aveva annunciato un “bonus mamma” di 800 Euro una tantum, senza però prestare attenzione alle norme di attuazione. Mancano invece i fondi necessari per rinnovare anche nel 2018 le deduzioni fiscali in favore delle imprese, che nel 2017 avevano potuto usufruire di questa “misura-esca” in caso di investimenti.

Non si possono concepire le riforme come regali da elargire prima delle elezioni, anche perché misure analoghe verrebbero poi proposte anche dagli altri partiti politici. E, soprattutto, chi vuole investire a lungo termine, non si può illudere di poter raccogliere i frutti politici di tali decisioni, semplicemente perché i cambi di governo sono troppo frequenti.

Il debito pubblico è salito al 133%

Quando nel 2014 l'allora 39enne Matteo Renzi divenne Presidente del Consiglio, promise di affrontare tutte queste inefficienze. Diceva che non gli stava a cuore il potere, bensì il futuro dei propri figli. Promise tante riforme, ne portò a termine una sola – quella del mercato del lavoro (n.d.t abolizione dell'articolo 18) – per poi spostare l'attenzione sulla riforma elettorale e su quella costituzionale. Per riuscire in questo intento si avviò spedito sul percorso del populismo condito da regali elettorali e slogan antitedeschi. La sua smodata sete di potere ha finito per renderlo talmente insopportabile che per gli avversari di Renzi è stato fin troppo facile convincere gli italiani a rigettare le sue riforme in modo da porre fine alle ambizioni di quel politico sempre più detestato. Risultato: la politica e le tante riforme si sono oramai arenate.

Renzi però è nuovamente a capo del PD, tuttavia all'interno del partito è in corso un'accanita diatriba circa le possibili coalizioni. La destra avrebbe buone chance elettorali se non fosse spaccata tra moderati ed euroscettici. Da qualche parte, nella terra di nessuno, si trova Beppe Grillo, privo di qualsiasi programma concreto ma sempre prodigo di ricette populiste e pronto a scagliarsi contro gli sprechi, il Fiscal Compact e l'ondata di migranti. Per le prossime elezioni del 2018 ancora non c'è nemmeno una legge elettorale in grado quantomeno di garantire proporzioni simili tra Camera e Senato, poiché la proposta di legge è stata ogni volta rigettata dalla Corte Costituzionale in riferimento ad entrambe le Camere.

Se la politica italiana dovesse risultare pressoché incapace di agire proprio nel momento della prossima scadenza elettorale, ciò si rivelerebbe un errore fatale. Perché se da un lato il Paese può tirare avanti per altri due anni con i soliti problemi, dall'altro le condizioni economiche potrebbero generare nel 2018 un collasso definitivo del sistema generale. Il debito pubblico ammonta attualmente al 133% del PIL, cui andranno sommati gli oneri per il salvataggio bancario. Non va però dimenticato che nel 2018 il periodo degli interessi tenuti artificialmente bassi sarà finito. Se l'Italia – come quest'anno – andrà nuovamente a bussare ai mercati per farsi prestare 400 miliardi di Euro, ci si porrà la domanda se un Paese tanto problematico, zavorrato da ostacoli alla crescita e da una classe politica disfunzionale, sia poi tanto degno di credito. Questo quesito ancora non aleggia nei pensieri dei politici romani. Matteo Renzi ha appena lanciato il nuovo motto: “Siamo di fronte a dieci mesi di campagna elettorale”.

[1]          Deposito di Malagrotta, chiuso ufficialmente il 1 ottobre 2013

mercoledì 12 luglio 2017

La nuova frontiera di Hartz IV

Su Hartz IV ci sono pareri discordanti: per alcuni è una manna per altri una condanna. Sicuramente farà molto discutere il nuovo progetto lanciato dall'Arbeitsamt di Brema: disoccupati di lungo periodo offerti come operai o manovali ad imprese private che per ben 5 anni sarebbero quasi completamente esentate dal pagamento dello stipendio e dei contributi sociali, visto che a farsene carico sarebbe lo stato. Per il disoccupato si tratterebbe di una offerta che non puo' rifiutare: i Jobcenter già al primo rifiuto possono far scattare le sanzioni e decurtare l'indennità di sussistenza. Da Junge Welt


Quasi un abitante su sei a Brema vive grazie ai sussidi pubblici di base. La proporzione di beneficiari di un sussidio sul totale della popolazione è solo leggermente inferiore rispetto alla capitale tedesca di Hartz IV, Berlino. Migliaia fra questi disoccupati sono ormai da molti anni senza un lavoro. Il Jobcenter e le agenzie di lavoro della città-stato (Brema) vorrebbero porre rimedio a questa situazione e allo stesso tempo cercare di rendere un servizio all'economia. La loro idea infatti è quella di obbligare i disoccupati di lungo periodo a lavorare come operai o manovali nelle aziende pubbliche o private della città. A pagare lo stipendio, pero', non dovrebbero essere coloro che beneficiano di questo lavoro.

L'iniziativa nasce all'interno del programma federale per la "partecipazione sociale al mercato del lavoro". Il concetto era già stato presentato in marzo dal presidente delle Agenzie federali del lavoro (BA), Detlef Scheele, e dal Ministro del Lavoro Andrea Nahles (entrambi SPD). Il programma è una riedizione del cosiddetto "lavoro civile". Tuttavia c'è una differenza significativa: i lavori sovvenzionati per i disoccupati di lungo periodo non dovranno piu' essere "necessariamente neutrali dal punto di vista concorrenziale". I Jobcenter potranno offrire i disoccupati a costo zero anche alle imprese private.

L'obiettivo sarebbe quello di "creare delle opportunità sostenibili per i disoccupati di lunga durata", ha dichiarato la portavoce del Ministero del Lavoro e degli affari sociali (BMAS), Nadja Jung. Dalle informazioni fornite, il progetto dovrebbe funzionare in questo modo: i Jobcenter potrebbero spedire a lavorare nelle fabbriche, fino ad un massimo di 5 anni, le persone con "difficoltà di collocamento". Il primo anno sarà lo stato a farsi completamente carico dello stipendio. Il secondo anno l'impresa dovrà contribuire con il 10%, nel terzo con il 20% e cosi' via. "L'elevato livello di sostegno pubblico dovrebbe dare al datore di lavoro un incentivo per impiegare i disoccupati di lungo periodo".

Le condizioni per le persone obiettivo di queste misure dovrebbero restare magre come quelle attuali: "dal primo di gennaio gli importi dei sussidi sono allineati al salario minimo per legge pari a 8.84 € l'ora lordi", ha chiarito la portavoce del BMAS Jung. La settimana lavorativa massima è di 30 ore. Un impiego di questo tipo, ad esempio come operatore nei parchi pubblici della città oppure come operaio nelle officine meccaniche, nel complesso dovrebbe essere sostenuto dallo stato con 1.370 € lordi. Nella somma è compresa anche la componente che l'imprenditore dovrebbe pagare per l'assicurazione sociale. L'occupato arriverebbe quindi ad un salario lordo di 1.125 €, netti sono 880 € al mese. Sarà possibile occupare le persone anche per solo 25, 20 o 15 ore settimanali. Il salario netto sarebbe quindi rispettivamente di 734, 589 oppure 445 €. 

Ad essere versati sarebbero solo i contributi per la pensione, la salute e l'assistenza infermieristica, è scritto nel concetto della SPD. La motivazione sarebbe la seguente: "l'esclusione dall'indennità di disoccupazione evita incentivi sbagliati che potrebbero spingere alla conclusione anticipata del rapporto di lavoro e quindi essere una porta girevole in termini di prestazioni sociali". In altre parole: il governo vuole evitare che le persone coinvolte dalle misure acquisiscano il diritto all'indennità di disoccupazione e quindi abbandonino in anticipo il programma. 

Nessuno tuttavia ha voluto chiarire se la partecipazione al progetto sarà volontaria o meno. Si puo' presumere che i Jobcenter come al solito allegheranno ai cosiddetti "posti vacanti" una indicazione sulle possibili conseguenze legali. Questo significa: chi rifiuta una "proposta di intermediazione" senza una "giusta causa" sarà sanzionato. Per i minori di 25 anni si tratta di tagliare per 3 mesi l'intero sussidio sociale. Chi ha piu' di 25 anni dovrà prendere in considerazione una sanzione pari al 30% del sussidio. Le imprese che beneficiano del lavoro potranno essere contente. Così è scritto nel documento di presentazione: "il sussidio salariale di 5 anni dovrebbe mantenere il piu' a lungo possibile le persone occupate innescando quindi il cosiddetto effetto adesivo".

martedì 11 luglio 2017

Secondo il Bundestag un programma nucleare europeo sarebbe perfettamente legale

Il dibattito sulla bomba atomica tedesca, come previsto, è stato insabbiato in vista delle elezioni federali di settembre. Se ne riparlerà probabilmente con il prossimo governo, tuttavia, lontano dai riflettori, prosegue la battaglia dei volenterosi sostenitori dell'arma atomica tedesca. Il Servizio Scientifico del Bundestag, su richiesta del deputato CDU Roderich Kiesewetter, ha dato parere positivo: nel diritto internazionale non ci sono ostacoli legali che impediscano alla Germania di partecipare ad un programma nucleare europeo. Da Telepolis


Il Servizio Scientifico del Bundestag riferisce che secondo il diritto internazionale sarebbe possibile una "condivisione nucleare" e il co-finanziamento di armi nucleari straniere.

Mentre il governo tedesco boicotta la conferenza delle Nazioni Unite per l'approvazione di un trattato sul divieto di proliferazione delle armi nucleari, sul fronte opposto il deputato CDU ed ex ufficiale di stato maggiore Roderich Kiesewetter, capo-gruppo per la CDU/CSU nella Commissione affari esteri del Bundestag, è tornato a sollevare la questione di una bomba atomica tedesca. Nei mesi scorsi ha percio' incaricato il Servizio Scientifico del Bundestag di esaminare gli obblighi internazionali della Germania in materia di armi nucleari con l'obiettivo di verificare la possibilità di "un co-finanziamento di armi nucleari straniere da parte della Germania".

Poiché con la Brexit la Gran Bretagna, in quanto potenza atomica, non poteva piu' essere della partita, si trattava di stabilire se la Germania, direttamente, oppure attraverso la UE, poteva prendere parte alla modernizzazione delle armi nucleari francesi - probabilmente nell'ambito di un programma nucleare interno all'UE. Se è vero quello che "Der Spiegel" scriveva nel 2007, l'allora presidente francese Sarkozy aveva offerto al governo federale una condivisione nucleare. All'epoca il Ministro degli Esteri Steinmeier e la Cancelliera Merkel avevano rifiutato l'offerta.

Il Servizio Scientifico ha pubblicato il suo rapporto in maggio, documento che tuttavia in Germania non ha riscontrato un grande interesse, come riferito da Thomas Wiegold. Tuttavia all'estero la discussione viene seguita con molta attenzione. Wiegold si riferisce ad un articolo comparso sul New York Times di mercoledì scorso, che già nel titolo esplicita le conclusioni, e cioè che un programma nucleare europeo secondo il rapporto finale sarebbe legale: European Nuclear Weapons Program Would Be Legal, German Review Finds.

Il NYT individua nel rapporto una prova del fatto che le riflessioni su di un ombrello nucleare paneuropeo o sul finanziamento di una bomba atomica francese o britannica, da far stazionare anche in Germania, "sarebbero passate dalla fase della discussione informale ai canali ufficiali delle decisioni politiche". Cio' non è necessariamente vero, visto che ogni deputato puo' rivolgersi al Servizio Scientifico del Bundestag, si puo' tuttavia ipotizzare che Kiesewetter non si sia mosso da solo, e che negli ambienti della CDU dopo Brexit e Trump sia iniziata una riflessione sulle alternative tedesche ed europee alla Nato, armi atomiche incluse.

Il Servizio Scientifico tuttavia non individua nessun ostacolo giuridico. Cosi' l'articolo 2 del Trattato di non proliferazione delle armi atomiche (NPT) non vieterebbe una partecipazione ad un potenziale nucleare straniero. Secondo l'articolo ogni stato non dotato di armi nucleari, che ha sottoscritto il trattato, "si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, né il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente; si impegna inoltre a non produrre né altrimenti procurarsi armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, e a non chiedere né ricevere aiuto per la fabbricazione di armi nucleari o di altri congegni nucleari esplosivi". La motivazione appare un po' furba, perché una condivisione nucleare implica che gli stati decidano congiuntamente sull'uso delle armi stesse, e ciò significa che le armi nucleari stazionerebbero in Germania, oppure che la Germania otterrebbe indirettamente il potere di disporne.

Nel trattato "2+4" la Germania unita ha confermato di voler rinunciare alla produzione e al possesso di armi nucleare. Il fatto che la Germania non partecipi ai negoziati delle Nazioni Unite per un accordo sul disarmo nucleare teoricamente non sarebbe di grande importanza. Il governo federale tedesco avrebbe quindi rifiutato di partecipare alla conferenza, non solo in seguito alla pressione degli Stati Uniti, ma anche e soprattutto per lasciare alla Germania una porta aperta? Nel testo all'esame della conferenza ONU ci sarebbe infatti un divieto di supporto e co-finanziamento che il trattato NPT, cosi' secondo la relazione, non vieterebbe "esplicitamente", inoltre nel trattato NPT non ci sarebbe nessun obbligo di completare il disarmo nucleare. Qui pare che si voglia favorire una interpretazione molto originale che intende mantenere lo status quo e garantisce alla Germania l'accesso alle armi atomiche:

"Il trattato NPT voleva di fatto "cementare" lo status quo dell'epoca e limitare il possesso di armi nucleari alle 5 potenze nucleari allora esistenti (USA, URSS, Francia, Gran Bretagna e Cina). Anche il vago riferimento all'obbligo di disarmo formulato dall'art. VI non cambierebbe molto"

Si potrebbe pensare che è stato formulato in questo modo dalle potenze nucleari di allora, ma senza un riferimento estremamente vago all'obbligo di disarmo nucleare, molti stati non avrebbero mai firmato l'accordo.

La relazione del servizio scientifico riporta anche, molto brevemente, che il Ministero degli Esteri avrebbe dichiarato di non essere a conoscenza di un caso in cui la Germania, nell'ambito della "condivisione nucleare" delle armi atomiche americane di stanza in Germania, "abbia partecipato al finanziamento dell'arsenale atomico di uno stato straniero partner della Nato". La relazione affronta molto brevemente anche un altro punto discutibile, soprattutto in considerazione del fatto che la Germania ha aderito al TNP nel 1975: "nella stampa specializzata viene riportato un presunto co-finanziamento da parte della Germania che avrebbe avuto luogo sotto il piu' stretto riserbo e che riguarderebbe l'arsenale nucleare di Israele negli anni '50 e '60; di queste informazioni tuttavia non esiste una conferma ufficiale".

Mentre nell'UE prima del co-finanziamento sarebbe necessario stabilire le regole relative ad un bilancio militare comune, presumibilmente per la Germania ci sarebbe già la luce verde:

"Nel complesso la mancanza di casi precedenti di co-finanziamento di un potenziale nucleare straniero non ne escludono la possibilità. Anche nel diritto internazionale  non ci sarebbe un divieto per la Germania di finanziare e sostenere un potenziale atomico straniero".

E poiché nel quadro giuridico internazionale non esiste il divieto di possedere armi nucleari oppure di modernizzare il proprio arsenale, il sostegno finanziario a questo potenziale non sarebbe in nessun caso un aiuto finalizzato alla violazione di norme internazionali. Ad essere proibita sarebbe solo la realizzazione di una propria bomba atomica. Tuttavia il documento menziona anche il fatto che il co-finanziamento di armi nucleari francesi o britanniche non avrebbe molto senso, dato che l'impegno alla difesa da parte della Nato e dell'UE, in ultima analisi, includerebbe anche l'assistenza nucleare in caso di attacco contro la Germania. Per questa ragione non ci sarebbe bisogno di una condivisione nucleare. Che pero', in considerazione della imminente uscita della Gran Bretagna dall'UE potrebbe essere interessante sia per la Germania che per la Francia al fine di modernizzare ed espandere il potenziale nucleare francese e per muovere i primi passi in direzione di una UE indipendente dalla Nato.