sabato 11 maggio 2013

Sinn: l'Italia non deve uscire dall'Euro


Hans Werner Sinn, dalle pagine della FAZ risponde alle accuse di Soros: la Germania non accetterà mai gli Eurobond, meglio la fine dell'Euro che la messa in comune del debito. E rilancia, l'Italia deve restare nella moneta unica. Da FAZ.net
La Germania non puo' accettare gli Eurobond. Di fatto Soros sta chiedendo la fine dell'Euro. Anche se la Germania uscisse, i paesi del sud continuerebbero ad avere un serio problema di competitività.

Il grande investitore George Soros mette la pistola alla tempia della Germania. Dovrebbe accettare gli Eurobond, oppure lasciare l'Euro. Solo in questo modo la moneta unica potrebbe funzionare. I paesi latini dovrebbero organizzare una resistenza contro la Germania.

La Germania non puo' accettare gli Eurobond. L'esclusione di ogni forma di socializzazione del debito era la condizione fondamentale per l'abbandono del D-mark durante i negoziati per il trattato di Maastricht (Artikel 125 AEUV). La Corte Costituzionale ha inoltre indicato che i tedeschi sull'argomento dovrebbero esprimersi con un referendum popolare. Il Bundestag non ha il diritto di prendere una decisione del genere, in quanto sarebbero modificate le fondamenta costituzionali della Repubblica Federale. Con il referendum poi non si avrebbe una una maggioranza di favorevoli, a meno che la messa in comune del debito non sia collegata alla fondazione di un nuovo stato federale europeo, che la Francia intende evitare con tutte le sue energie. Angela Merkel, che molto probabilmente a settempre sarà rieletta, ha dichiarato che gli Eurobond non ci saranno fino a quando lei sarà in vita. George Soros dovrebbe essere a conoscenza di tutto cio'. Quando chiede alla Germania di scegliere fra gli Eurobond e l'uscita dall'Euro, di fatto sta chiedendo la fine della moneta unica.

Anche se la Germania uscisse, i paesi del sud Europa continuerebbero ad avere un problema di competitività nei confronti degli altri paesi del nord restanti, e non sarebbero comunque risparmiati dal processo di svalutazione interno. La maggior parte dei paesi dell'Eurozona è ancora competitivo. Solo in alcuni paesi i salari e i prezzi sono andati troppo oltre l'equilibrio, e un riallineamento attraverso un contenimento dell'inflazione e una moderata riduzione dei salari non è piu possibile.

Ad un'uscita della Germania seguirebbe la divisione della zona Euro

Soros minimizza il problema della competitività e si concentra sulla soluzione della crisi finanziaria, che individua negli Eurobond. La stabilizzazione dei mercati finanziari attraverso gli Eurobond e le altre garanzie pubbliche per gli investitori non risolverebbero il problema della competitività, anzi, avrebbero l'effetto opposto. I paesi colpiti dalla crisi potrebbero rinunciare alla necessaria riduzione dei prezzi e dei salari, mentre il valore esterno dell'Euro salirebbe, con un aggravio dei problemi di competitività.

E' estremamente probabile che l'uscita della Germania causerebbe un'uscita degli altri paesi del vecchio blocco del D-Mark (Olanda, Austria, Finlandia e forse il Belgio). Quando la Francia nel 1993 propose che fosse la Germania ad uscire dallo SME, il precursore dell'Euro, Belgio e Olanda dissero immediatamente che anche loro intendevano uscire. La Francia ritiro' la sua proposta. Da cio' si puo' ipotizzare che un'uscita tedesca causerebbe una separazione fra Euro nord ed Euro sud. L'unico dubbio sarebbe a quale dei due Euro la Francia intenderebbe unirsi.

Tuttavia il suggerimento di Soros potrebbe essere interessante se un gruppo di paesi all'interno dell'unione monetaria volesse unirsi per l'emissione di propri Eurobond. Ogni paese dovrebbe sentirsi libero di formare una zona Euro a due velocità, se in questo vedesse dei vantaggi. Che ci possa essere un miglioramento del rating dei titoli, in caso di emissioni obbligazionarie comuni dei paesi latini, nutro dei dubbi. Senza la partecipazione tedesca sarebbero un fallimento.

Senza considerare le garanzie illimitate offerte dalla BCE per i titoli di stato del sud-Europa nell'ambito del programma OMT, garanzie offerte a spese dei contribuenti dei paesi europei ancora in salute. Se l'Euro dovesse disintegrarsi e i GIPSIC dichiarassero l'insolvenza, la Germania rischierebbe di peredere 545 miliardi di Euro. Quasi la metà di questa somma sarebbero pagamenti fatti dalla Bundesbank per conto dei paesi GIPSIC, misurati dai crediti Target. Fra tutti i paesi che partecipano ai salvataggi Euro, la Germania si accolla la quota di gran lunga maggiore, contribuendo a mitigare l'austerità richiesta dai mercati ai paesi del sud-Europa, molto di piu' di quanto non faccia ogni altro paese donatore.

Soros inoltre sottovaluta il rischio che una socializzazione dei debiti proterebbe con sé.  Alexander Hamilton, il primo ministro delle finanze americano, nel 1791 socializzò i debiti degli stati americani, per rafforzare "con il cemento" la nuova confederazione. Tuttavia la socializzazione del debito incentivo' i singoli stati ad indebitarsi sempre di piu' ed emerse una bolla del credito, scoppiata nel 1837 e che fino al 1842 porto' la maggior parte degli stati alla bancarottoa. Seguirono solamente discordia e conflitti.

L'Euro è un fondamentale progetto di integrazione europea

La crisi Euro è nata perché gli investitori hanno sottovalutato i rischi di una esposizione in sud-Europa e per questa ragione hanno indirizzato verso quei paesi troppo capitale, fatto che ha portato ad una bolla creditizia che ne ha distrutto la competitività. Gli Eurobond non farebbero che istituzionalizzare questa sottovalutazione del rischio impedendo ai mercati di correggere i loro errori. Seguirebbe un allentamento dei vincoli di bilancio  e un gigantesco azzardo morale, e la conseguente distruzione del modello europeo.

Soros dice anche che dopo l'introduzione degli Eurobond, i paesi che non riescono a portare a termine le riforme verrebbero a trovarsi in una situazione di povertà e dipendenza costante, come il mezzogiorno italiano. Sarebbe proprio cosi'. Grazie al denaro a buon mercato avremmo un buon numero di paesi di questo tipo. Si svilupperebbe una sorta di Mezzogiorno o Germania dell'est con un'elevata disoccupazione cronica, un livello di sviluppo economico molto limitato ma uno standard di vita accettabile, sia pure parzialmente finanziato dagli altri paesi.

Soros afferma che la Germania dopo un'uscita si troverebbe a soffrire per un apprezzamento della sua valuta. Non è vero. Da un lato la Germania ha un Euro sottovalutato e in termini di effetto "Terms of Trade" avrebbe solo vantaggi. Il vantaggio di poter importare a prezzi piu' economici sarebbe decisamente piu' importante rispetto al peggioramento dei prezzi dell'export. Inoltre la Bundesbank potrebbe evitare un apprezzamento eccessivo facendo come la banca centrale svizzera, e cioè comprando titoli esteri con la propria valuta. La Germania si troverebbe in una situazione migliore rispetto a quella attuale perchè invece di avere dei crediti Target di dubbia esigibilità, potrebbe accumulare titoli buoni e ben remunerati. Ma sottolineo ancora una volta: la Germania non deve uscire dall'Euro perché questo resta un progetto fondamentale di integrazione europea, che dopo la soluzione della crisi potrebbe avere degli effetti potenzialmente benefici per il commercio intra-europeo.

L'Italia non deve abbandonare l'Euro

Soros sostiene che l'uscita dei paesi del sud non farebbe altro che peggiorare i loro problemi di debito estero. E' vero il contrario. Naturalmente un'uscita con la conseguente svalutazione farebbe aumentare i debiti in relazione al PIL, di fatto una svalutazione reale ottenuta tramite una deflazione all'interno della zona Euro avrebbe esattamente lo stesso effetto. Se non si vuole inflazionare la zona Euro, i paesi del sud potranno recuperare competitività solo con l'uscita dall'Euro seguita da una svalutazione, oppure tramite una svalutazione interna fatta con una riduzione dei prezzi e dei salari, e questa è di nuovo la sola via per migliorare strutturalmente le partite correnti e rimborsare in maniera ordinata il debito. Messa in questo modo, un temporaneo aumento dei debiti in relazione al PIL non è evitabile, se un paese intende ripagare i debiti e riportarli ad un livello sostenibile.

A mio parere, per dare un contributo al miglioramento della competitività dei paesi del sud, dovremmo accettare un livello di inflazione piu' elevato nel nord dell'Eurozona. Se invece intendiamo spingere il risparmio del nord verso il sud attraverso gli Eurobond, dove di fatto i risparmi non vogliono andare, avremmo esattamente l'effetto opposto. Di fatto bloccheremmo il boom edilizio tedesco che grazie ad una riduzione della disoccupazione sta portando ad aumenti salariali piu' sostenuti, e quindi ad un'inflazione potenzialmente piu' alta in Germania.

Soros menziona l'Italia. Non vedo perchè l'Italia dovrebbe abbandonare l'Euro e perché si troverebbe in una situazione migliore se decidesse di uscire. L'Italia ha un  livello di debito estero molto basso e una economia che nel nord del paese resta molto competitiva. Secondo uno studio di Goldman Sachs, rispetto alla media europea, avrebbe bisogno di una svalutazione interna di un 10% massimo. Si puo' fare. Se fosse vero che la Germania, a causa di una uscita dall'Euro, entrerebbe in crisi, allora anche l'Italia verrebbe a trovarsi in una situazione simile, visto che Germania e Italia sono fortemente collegate da catene di fornitura. I due paesi sono piu' complementari che sostitutivi. 

Gli argomenti di Soros non convincono

Soros fa notare che il Giappone ha cercato di risolvere i suoi problemi tramite una politica di austerità secondo il modello tedesco, e mette in guardia dal cercare di ripetere l'esperimento giapponese. Ma  dal crollo del sistema bancario nel 1987 il Giappone non ha mai praticato nessuna politica di austerità. La Banca del Giappone da allora ha sempre tenuto i tassi di interesse vicini allo zero. Il debito pubblico in relazione al PIL è cresciuto dal 99% del 1996 al 237 % del 2012, poiché si è ricorsi ad una eccessiva spesa a deficit di tipo Keynesiano. A parte questo, la mancanza di effetti di una politica di austerità in un paese con un cambio flessibile non puo' essere trasferita ad un paese all'interno di una unione monetaria. Mentre il cambio flessibile compenserebbe ogni tentativo di rafforzare la competitività attraverso una deflazione, una deflazione all'interno di una unione monetaria puo' funzionare meravigliosamente, come l'esempio irlandese ha mostrato. L'economia irlandese dal 2006 ad oggi ha ridotto il suo livello dei prezzi in relazione al resto dell'Eurozona del 15%, e in questo modo è riuscita a salvarsi.

Gli argomenti di Soros non sono convincenti. Se c'è qualcuno che deve lasciare l'Euro, sono i paesi che non riescono a far fronte alla moneta unica. Non avrebbe senso dividere l'asse franco-tedesco e rinunciare  all'Euro, per rendere questi paesi nuovamente competitivi.






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venerdì 10 maggio 2013

Am deutschen Wesen soll die Welt genesen


Uno studio della Fondazione Bertelsmann prova a quantificare i vantaggi economici che la Germania ottiene da una permanenza nella moneta unica. Nel frattempo, un vecchio detto prussiano, ripreso dai nazisti, torna di moda nella Germania di Merkel. Da german-foreign-policy.com
Un recente studio della Fondazione Bertelsmann conferma i benefici finanziari che la Germania ricava dall'Euro. Secondo l'analisi, la Repubblica Federale grazie alla moneta unica nei prossimi 12 anni potrà attendersi maggiori guadagni per 1.2 bilioni di Euro, a cui invece con il D-Mark avrebbe dovuto rinunciare. Nel complesso la Germania puo' sperare di avere un PIL di 170 miliardi di Euro superiore rispetto a quanto non sarebbe stato possibile senza la moneta unica. Allo stesso tempo per l'ennesima volta i critici ripetono: la moneta unica concepita e progettata secondo i bisogni tedeschi garantisce alla Germania vantaggi non trasferibili strutturalmente agli altri paesi della zona Euro. Secondo quanto scritto dall'economista Mark Blyth sulla prestigiosa rivista americana "Foreign Affairs", è improbabile che tutti i paesi EU possano imitare il lucrativo modello di export tedesco - non ci sarebbero abbastanza compratori. Dure critiche sono state espresse recentemente anche dal giornalista francese Luc Rosenzweig. Con la nascita del governo rosso-verde nel 1998 la Repubblica Federale ha iniziato ad imporre i suoi interessi internazionali - fino agli attuali diktat di risparmio, scrive Rosenzweig, e paragona il comportamento di Berlino con la politica di potenza del Kaiser tedesco.

100 miliardi di Euro all'anno

Come confermato da un recente studio della fondazione Bertelsmann, la Germania ricava dalla  moneta unica grandi benefici. Secondo l'analisi, mantenendo la moneta unica, la Repubblica Federale puo' aspettarsi da qui al 2025 una crescita del PIL fino a un valore di 2.8 bilioni di Euro. In caso di un immediato ritorno al D-Mark, la Fondazione Bertelsmann ipotizza invece gravi contraccolpi economici. Se si sommano in maniera sistematica le differenze fra lo scenario D-M e quello Euro, nel caso di un ritorno al D-Mark il risultato finale prevede, in termini di PIL, "una perdita complessiva pari a 1.2 bilioni di Euro". Fra il 2013 e il 2025 il PIL annuo aggiuntivo derivante dal mantenimento della moneta unica sarebbe di quasi 100 miliardi di Euro.

D-Mark: "conseguenze incalcolabili"

L'analisi condotta dalla Fondazione ipotizza vantaggi finanziari anche nel caso in cui dovesse essere necessario un taglio del debito pari al 60% in Grecia, Portogallo, Spagna e Italia. In questo caso ci si dovrebbe aspettare un rallentamento delle dinamiche economiche; tuttavia sarebbe alquanto contenuto [2]. Va inoltre tenuto presente che il ritorno al D-Mark causerebbe un aumento della disoccupazione. La Fondazione Bertelsmann sottolinea inoltre che lo studio fa un confronto puramente aritmetico fra i due scenari, senza prendere in considerazione le altre conseguenze. Il ritorno al D-Mark, sempre secondo la Fondazione, oltre alle perdite finanziarie per la Repubblica Federale, causerebbe una dissoluzione della zona Euro e una difficile crisi economica mondiale, "le cui conseguenze sarebbero incalcolabili"[3]. Anche se questa visione dei fatti nell'establishment tedesco oggi viene messa in discussione (ad esempio "Alternative fuer Deutschland" [4]) - ci conferma tuttavia quali vantaggi si attendono le élite tedesche dal mantenimento della moneta unica.

Le esportazioni hanno bisogno di compratori

Allo stesso tempo i critici sottolineano che con la struttura attuale della moneta unica, i vantaggi tedeschi non sono automaticamente trasferibili a tutti i paesi della zona Euro. Cosi' scrive l'economista Mark Blyth nell'ultimo numero della prestigiosa rivista americana Foreign Policy: il successo tedesco è basato su di un mix di bassi consumi interni e abbondanti esportazioni. La crescita in Germania è quindi legata ai bassi costi di produzione e ad una valuta stabile. L'unione monetaria di fatto è stata modellata sulle necessità tedesche: una forte politica di competitività e una "banca centrale estremamente indipendente e concentrata sull'inflazione". Non tutti gli stati possono pertanto seguire il modello tedesco - anche solo per una questione di principio: l'offensiva tedesca dell'export funziona solamente quando gli altri stati acquistano piu' di quanto non riescano ad esportare all'estero [5]". "Dovranno tutti ottenere un avanzo commerciale con l'estero?", Blyth cita un commento ironico della stampa economica: "E se si', con chi? Con gli abitanti di altri pianeti?".

La banca centrale in manette

La scorsa settimana anche il giornalista francese Luc Rosenzweig si è espresso in maniera simile. Già negli anni '90 i governi di Bonn si erano preoccupati affinché "l'unione monetaria (...)nascesse nel dogma della stabilità monetaria e fosse governata da regole draconiane", che "impedissero alla BCE di svolgere un ruolo simile a quello svolto dalle banche centrali delle principali potenze economiche", scrive Rosenzweig. Pertanto la BCE non puo', all'occorrenza, "realizzare un trasferimento dai paesi piu' ricchi a quelli piu' poveri", come sarebbe necessario all'interno di zone valutarie con grandi differenze interne [6]. Nell'attuale Euro-crisi "è quindi possibile assistere ai danni che questa chimera economica ha causato".

Controllare e punire

Rosenzweig sottolinea che la vera rottura che ha portato all'egemonia tedesca nella EU è arrivata con il governo Schröder/Fischer del 1998. Il cancelliere SPD insieme al ministro degli esteri dei Verdi non avrebbe solo rotto il tabu' "del non interventismo militare", piuttosto ha aiutato l'industria tedesca ad imporsi nella competizione internazionale grazie ad una politica di austerità ("Hartz IV"). "Gli interessi economici e geopolitici di Berlino" sotto Schröder "sono stati difesi e promossi in maniera molto efficace", scrive Rosenzweig. Gli stati dell'Europa dell'est "sono diventati economicamente dipendenti dalla Germania, la Russia di Putin ha avviato una partnership energetica all'interno della quale le istituzioni dell'Unione Europea difendono gli interessi tedeschi"[7]. La stessa riflessione era già stata fatta lo scorso anno dall'ex commissario EU António Vitorino (german-foreign-policy.com [8]). La cancelliera Merkel ha  poi proseguito con la difesa degli interessi tedeschi durante la crisi Euro attraverso l'imposizione dei diktat di risparmio, continua Rosenzweig. Anche un poco probabile avvicendamento al governo in autunno "non cambierebbe la nuova Germania, che vuole punire e controllare gli altri europei".

Medicina mortale

"Nei tempi in cui la Germania voleva ancora mostrare ai suoi partner un volto buono", il detto "risalente all'epoca di Bismark, 'Am deutschen Wesen soll die Welt genesen' era considerato  offensivo, scrive Rosenzweig. E avverte: "oggi il modo di dire è tornato in auge". E non ci si preoccupa affatto "se ai malati d'europa", con i diktat di risparmio tedeschi, non si finisca "per somministrare una medicina mortale".[9]


[1] Thieß Petersen: Wirtschaftliche Vorteile der Euro-Mitgliedschaft für Deutschland. Policy Brief 2013/01 der Bertelsmann-Stiftung
[2] Bertelsmann-Stiftung: Deutschland profitiert vom Euro; www.bertelsmann-stiftung.de 29.04.2013
[3] Thieß Petersen: Wirtschaftliche Vorteile der Euro-Mitgliedschaft für Deutschland. Policy Brief 2013/01 der Bertelsmann-Stiftung
[4] s. dazu Brüche im Establishment
[5] Mark Blyth: The Austerity Delusion. Why a Bad Idea Won Over the West, Foreign Affairs May/June 2013
[6], [7] Luc Rosenzweig: Das Deutschland unserer Träume; Frankfurter Allgemeine Zeitung 30.04.2013
[8] s. dazu Praeceptor Europae
[9] Luc Rosenzweig: Das Deutschland unserer Träume; Frankfurter Allgemeine Zeitung 30.04.2013





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giovedì 9 maggio 2013

Hans Werner Sinn: serve un'unione monetaria aperta

In una recente intervista a Die Welt, il grande economista tedesco torna a rilanciare l'unione monetaria aperta: i membri in difficoltà dovrebbero poter uscire, svalutare, fare le riforme e tornare nella moneta unica con il supporto della comunità internazionale


Secondo Hans-Werner Sinn la maggior parte delle decisioni politiche prese durante l'eurocrisi era sbagliata. Ed è certo di una cosa: la Grecia sarebbe già fuori pericolo - se nella primavera del 2010 avesse dichiarato l'insolvenza.

Gli economisti pensano in maniera sistemica, purista. La politica deve trovare compromessi in una realtà contraddittoria. Gli economisti riescono ancora a capire i politici senza concludere che il politico pensa solo alla sua rielezione?

Che un politico pensi a farsi rieleggere non è fondamentalmente sbagliato. Il problema è che le frequenti elezioni in Germania premiamo il populismo di breve periodo e trasformano la politica in una manovra tattica. L'effetto è rafforzato ulteriormente dai sondaggi settimanali. Sarebbe una buona idea dare ai genitori il diritto di voto anche per i propri figli, affinché le decisioni di lungo periodo nelle urne possano avere un peso maggiore. Allo stesso tempo su questioni specifiche mi piacerebbe vedere dei referendum popolari come in Svizzera. I personality-show privi di contenuto messi in scena durante le campagne elettorali sono controproduttivi.

Siamo ancora nel pieno dell'eurocrisi. Che cosa ha l'euro di diverso da un'altra moneta? Anche lei pensa che potremmo dire addio all'euro?

Naturalmente la Germania puo' sopravvivere anche senza l'euro. Gli scenari horror ipotizzati in caso di uscita sono esagerati. In particolare non è vero che l'industria dell'export collasserebbe. Un po' di rivalutazione farebbe bene alla Germania, perché il vantaggio di una riduzione dei prezzi dell'import sarebbe piu' importante rispetto agli svantaggi legati ad un peggioramento del prezzo delle esportazioni. La Bundesbank poi potrebbe evitare un forte apprezzamento del nuovo Marco acquistando titoli esteri con la propria moneta, come sta facendo la banca centrale svizzera. Questi titoli prenderebbero il posto degli attuali saldi Target, crediti che di fatto non hanno alcun valore. Da un punto di vista tecnico ci sarebbero solo vantaggi. Tuttavia per ragioni politiche la Germania deve restare nell'euro: l'euro resta un progetto centrale per l'integrazione europea. Inoltre, ritengo indispensabile tutelare i crediti verso l'estero delle nostre banche e assicurazioni e non da ultimo, non dobbiamo rinunciare ai crediti Target della Bundesbank. Se un paese non è piu' in grado di sostenere l'euro perché ha perso competitività, sarebbe meglio lasciarlo uscire. La Germania dovrebbe smetterla di mantenere nell'euro tali paesi alimentandoli con prestiti pubblici sempre maggiori  che di fatto non saranno mai rimborsati.

Come sarà l'Europa fra 5 anni? 

I sassi che ci verranno tirati addosso saranno sempre piu' grandi, se continueremo con questa politica. E' stato un grande errore violare il trattato di Maastricht e tenere la Grecia nell'euro con prestiti, pari al 160 % del PIL, che non saranno mai rimborsati.  Questa politica ha aiutato le nostre banche e quelle francesi, e forse qualche ricco in Grecia, ma per le persone comuni ha significato disoccupazione di massa e disperazione. La Grecia avrebbe già da tempo superato la fase piu' difficile se nella primavera del 2010 avesse dichiarato l'insolvenza e fosse uscita dalla moneta unica. Si sarebbe liberata di buona parte del suo debito e con una Drachma svalutata avrebbe raggiunto una nuova competitività. La disoccupazione giovanile non sarebbe stata certo al 60% come oggi. Quello a cui assistiamo in Grecia è una tragedia per la gente del luogo, e la colpa per questa politica sbagliata ricade sui tedeschi, sebbene siano loro i principali contributori. Con questa politica ci stiamo impoverendo e allo stesso tempo ci attaccano usando le svastiche. Se la situazione nei paesi piu' grandi dovesse peggiorare, non potremmo mantenere la stessa politica usata in Grecia, perché le risorse non sarebbero sufficienti.

La Germania sembra il paese meno amato in Europa: troppo grande per restare nascosto, ma troppo debole per la leadership. Che cosa ne pensa un'economista?

Questo tema mi fa pensare continuamente. Sono al momento a Washington. La crisi europea qui è onnipresente. La Germania dovrebbe assumersi le proprie responsabilità e cercare soluzioni realmente sostenibili per la zona Euro. Soluzioni che possono risiedere solo in un sistema monetario piu' flessibile, a metà strada tra un sistema dei cambi fissi e una moneta nazionale come il dollaro. Mi immagino una unione monetaria aperta, da cui si possa uscire temporaneamente, se non si è in grado di far fronte alle difficoltà, e per fare cio' si possa contare sugli aiuti della comunità internazionale. Sono per un piano Marshall per la Grecia, ma solo dopo la sua uscita. E' una soluzione migliore e piu' conveniente rispetto all'erogazione di denaro fatta tramite le istituzioni comuni come la BCE, nelle quali non siamo sufficientemente rappresentati ma di cui siamo i principali finanziatori, e delle cui scelte siamo considerati  i principali responsabili.

Se lei confronta la Germania del 1989 e quella di oggi, quale è stato il cambiamento piu' importante?

La solidità finanziaria del nostro paese è andata perduta. I debiti pubblici nascosti e i rischi sono cresciuti massicciamente a causa di una Euro-politica sbagliata. Si avvicina inoltre il punto in cui i nostri babyboomer, che oggi sono verso la fine dei quaranta, vorranno andare in pensione senza pero' poter contare sul sostegno della generazione che li segue, a causa della loro bassa occupazione. Devo riconoscere che la politica ha cercato di contrastare questa tendenza introducendo un limite all'indebitamento in costituzione, e che in altri paesi la situazione è decisamente peggiore. Tuttavia vedo troppa contabilità creativa nei bilanci dello stato tedesco e nell'unione monetaria. In questo modo il peso che dovranno sopportare i nostri figli è solamente nascosto.

Ci stiamo muovendo verso la piena occupazione, in Europa la nostra flessibilità e il nostro mercato del lavoro causano ammirazione e invidia. Nel nostro paese invece lo slancio politico si sta riducendo. Secondo lei questo atteggiamento negli ultimi anni è cresciuto?

La Germania si trova a circa 3 milioni di posti di lavoro dalla piena occupazione. La disoccupazione oggi è 6 volte piu' grande rispetto ai tempi in cui io studiavo. A questo proposito mi permetta di esprimere qualche dubbio sulle sue affermazioni. E sicuramente vero che il mercato del lavoro va meglio rispetto a quasi tutti gli altri paesi europei. Abbiamo lavoro, ma a causa delle politiche europee mettiamo a rischio una parte sempre maggiore del nostro patrimonio, senza nemmeno rendercene conto. La crisi Euro è un'esperienza di vita molto amara nei paesi del sud-Europa, che pero' si ripercuote su di noi. Non dobbiamo trasformare la società tedesca, ma la casa europea.

L'economista Sinn è un normale cittadino. Quale sarebbe il suo piu' grande desiderio?

Dovrebbe arrivare una fata, far sparire nell'aria l'intero Euro-disastro, far sparire la croce uncinata che nella mente di molti europei viene agitata contro di noi. Allora potrei tornare a dormire sonni tranquilli.






lunedì 6 maggio 2013

Il volenteroso carnefice della Troika


Yannis Stournaras, ministro delle finanze greco, intervistato da FAZ prova a giocare il ruolo dello studente diligente che ha fatto tutti i compiti a casa. Verso la fine dell'intervista getta pero' la maschera: la Grecia è in ginocchio c'è bisogno di una unione di trasferimento. Da FAZ.net
Con il risanamento del bilancio siamo arrivati ad un punto di svolta, ci dice il ministro delle finanze greco Yannis Stournaras. E chiede: i paesi che hanno avuto vantaggi dalla crisi dovranno condividere con gli altri i guadagni.

Professor Stournaras, com'è la situazione in Grecia?

Recentemente il gruppo di lavoro per la Grecia ha approvato un ulteriore credito da 2.8 miliardi di Euro. Ci aspettiamo inoltre che la Grecia alla prossima riunione dell'Eurogruppo del 13 maggio ottenga una ulteriore tranche da 6 miliardi di Euro. Tutto è andato bene, domenica scorsa abbiamo ricevuto l'approvazione del Parlamento per un ulteriore pacchetto di riforme. In questo momento sono abbastanza soddisfatto.

Secondo quanto mostrato in televisione, anche durante l'ultima votazione ci sono state nuove proteste. Vi lasciate impressionare?

Al contrario, la situazione nel frattempo è diventata molto piu' calma. Dal mio ufficio si vede la piazza Syntagma e il Parlamento. E non ho visto nessun dimostrante. Anche prima dell'ultimo dibattito davanti al parlamento c'erano 500 dimostranti. Sia in Parlamento che nelle piazze la situazione era tranquilla come mai fino ad ora. Le persone stanno mostrando una grande pazienza e apprezzano quello che facciamo.

La situazione è ancora esplosiva?

Non siamo affatto vicini ad una esplosione. Ma naturalmente la situazione sociale è ancora molto difficile. I salari e le pensioni sono stati pesantemente ridotti, e le tasse sono notevolmente salite.

E che cosa avete raggiunto fino ad ora?

Abbiamo realizzato piu' di due terzi del nostro obiettivo di correzione del budget e allo stesso tempo rimosso gli svantaggi competitivi dovuti ad un costo del lavoro per unità di prodotto troppo elevato. Abbiamo dei risultati molto buoni da mostrare.

Ci sono già i primi segnali del fatto che la situazione in Grecia sta migliorando?

Il peggio è alle spalle. Anche se ci attende un percorso ancora molto lungo. Tuttavia negli ultimi 6 o 7 mesi c'è stata una svolta importante. Il consolidamento di bilancio è su di un percorso corretto. Ho chiesto agli specialisti e a tutti gli statistici di cercare i primi segni di una inversione di tendenza nella situazione economica.

Qual'é stato il risultato?

Dalla banca centrale greca, ad esempio, ci hanno detto che la produzione industriale si è stabilizzata. Non sta piu' diminuendo, siamo arrivati al punto piu' basso.

La Grecia ha bisogno di una miccia per innescare la ripresa economica?

Io credo il turismo potrebbe essere la miccia che entro la fine dell'anno farà ripartire l'economia. Se la stagione turistica si sviluppa secondo le informazioni che stiamo ricevendo dalle diverse capitali europee, allora presto nell'economia reale potremmo avere una vera svolta.

Quali requisiti dovranno essere soddisfatti affinché l'economia greca possa vivere un cambiamento positivo?

Le banche dopo le ricapitalizzazioni dovranno tornare a sostenere l'economia reale. I depositi presso le banche sono tornati nuovamente a crescere, solo con una piccola interruzione dovuta alla crisi di Cipro. 

Quali sono le condizioni politiche per il proseguimento del risanamento greco nella vostra coalizione tripartito?

Nella coalizione abbiamo un buon clima politico. I partner semplificano il mio lavoro da ministro evitando di farmi richieste irrazionali.

A che punto siete arrivati con il risanamento del bilancio?

Nonostante tutte le cassandre, riusciremo a raggiungere gli obiettivi. Ci è stato chiesto di ottenere un avanzo primario nel 2014, ma potremmo raggiungerlo addirittura a fine 2013. Pare che il consolidamento fiscale proceda meglio di quanto non ci sia stato chiesto.

Recentemente tutti gli sguardi erano rivolti ai dati pubblicati da Eurostat sul bilancio 2012; con il 10 % di deficit/PIL siete andati peggio del previsto. Avete raggiunto i vostri obiettivi?

C'è stato un malinteso. Nel deficit è stato calcolato il denaro legato alle perdite bancarie. Ma la valutazione avviene sul saldo primario. E nel 2012 è stato di uno 0.2 % inferiore rispetto a quanto ci era stato richiesto. L'obiettivo era l'1.5% del PIL, abbiamo raggiunto l'1.3%.

Quali sono le sfide che vi attendono?

Davanti a noi c'è la privatizzazione di due grandi aziende, l'azienda nazionale per il gioco d'azzardo e la società nazionale del gas Depa. Poi ci sarà la ricapitalizzazione delle banche. L'istituto piu' grande, la National Bank of Greece, si sta sforzando di raccogliere presso sottoscrittori privati, secondo le regole, il 10% del capitale necessario, vale a dire circa 800 milioni. La priorità piu' importante è ovviamente mantenere l'economia e le finanze pubbliche in carreggiata.

Lo stato greco non ha solo un problema di debiti, ma anche molte fatture da pagare ai suoi fornitori.

Abbiamo appena iniziato a pagare le forniture. Stiamo procedendo secondo il piano ed abbiamo già pagato 3.7 miliardi di Euro degli 8.7 miliardi in totale. Se entro la fine dell'anno riuscissimo a pagare l'intero importo, ci sarebbe un effetto crescita di un punto percentuale di PIL.

La Grecia quando tornerà a vivere finanziariamente con i propri mezzi?

Il vero test sarà superato quando torneremo sui mercati finanziari. Per fare questo abbiamo bisogno di raggiunere gli obiettivi di risanamento, eseguire il programma di privatizzazioni e tornare alla crescita economica. Allora non avremo piu' bisogno di essere sostenuti dai nostri partner. Il requisito è la stabilità finanziaria. La coalizione dovrà ancora lavorare i prossimi 3 anni su questi obiettivi ed essere consapevole che il nostro lavoro sarà valutato solo alla fine del periodo. In questo credo e spero. E fino ad ora sta funzionando.

Nella coalizione non c'è stata una guerra sul licenziamento dei 15.000 dipendenti pubblici imposto dalla Troika?

Nessuna guerra, solo discussione. L'obiettivo, la riduzione di 150.000 unità fra i dipendenti pubblici entro il 2015, sarà raggiunto con la normale fluttuazione. Ogni 5 lavoratori che vanno in pensione, solo uno sarà sostituito. Noi e la Troika vogliamo pero' ottenere ancora di piu': le persone che non raggiungono i requisiti per il servizio pubblico se ne dovranno andare, vale a dire 15.000 unità. Ma al loro posto abbiamo intenzione di inserire un numero uguale di giovani, con l'obiettivo di migliorare il livello del servizio pubblico. Un ulteriore passo in avanti riusciremo a farlo quando l'età per gli avanzamenti di carriera sarà ridotta. Nella fascia di età fra i 35 e i 45 anni abbiamo molte persone capaci, e se potessimo portarle in posizioni di vertice, vedremmo nel giro di poco tempo un servizio pubblico completamente nuovo.

Ma i greci temono che anche le nuove assunzioni saranno fatte con metodi clientelari. 

Abbiamo già un processo di selezione indipendente eseguito secondo criteri meritocratici, senza l'influenza del governo.

Quando lei ha accettato la sua posizione al ministero delle finanze, non si è lamentato della situazione che ha trovato?

Quando il presidente del consiglio me lo ha chiesto non ho potuto dire di no, il mio paese si trova in una situazione simile ad una guerra. Ho dovuto servire il mio paese e rinunciare ad una posizione ben pagata nel settore privato ed al mio ruolo di professore all'università. Sono consapevole che il compito è molto difficile ma sono deciso nel raggiungere l'obiettivo. Nessun compito è impossibile, se uno ha capacità di resistenza e persegue la giusta politica.

Negli altri paesi gira la tesi secondo cui l'intera crisi greca era evitabile se solo all'inizio Angela Merkel avesso staccato un assegno sufficientemente grande. Che cosa ne pensa?

Si tratta di storia virtuale. Non potremo mai saperlo. Certo è: l'Europa non aveva alcun meccanismo di salvataggio. Il caso greco è stato quindi un esperimento. Alla fine l'Europa ha avuto la forza e la volontà di creare un meccanismo di salvataggio. Ora abbiamo imparato la nostra lezione. Abbiamo decisamente bisogno di una unione bancaria, di un maggior coordinamento delle nostre politiche economiche, di crescita e di una discussione aperta sulle politiche di sviluppo.

Di cosa vorrebbe discutere?

Il mio amico e collega Wolfgang Schäuble su questo punto non è affatto d'accordo con me, ma dobbiamo ricordarci che già Keynes, durante le trattative per il sistema di Bretton Woods nel 1944 ebbe modo di affermare che un sistema di cambi fissi in caso di deflazione o politiche di risparmio applicate contemporaneamente in tutti i paesi avrebbe causato una recessione. Il sistema dei cambi fissi si trova quindi in pericolo. Dobbiamo trovare un modo affinché i paesi che dalla crisi hanno avuto dei vantaggi, possano condividere i loro guadagni con gli altri paesi.

Secondo lei chi è stato ad avere vantaggi dalla crisi?

La Germania e gli altri paesi tripla A sono i vincitori. Perchè in questi paesi i tassi di interesse sono crollati, non solo per gli stati, ma anche per le imprese.

Lei ha dei problemi personali con la Germania?

Non vedo alcun problema. Io credo in strategie politiche reciproche e sono convinto che per ogni problema esiste una soluzione e un compromesso.

Secondo lei la causa della crisi attuale risiede in una mancanza di competitività di alcuni paesi europei sui mercati internazionali oppure è l'austerità?

Entrambe le cause sono molto importanti. Prendiamo la Grecia ad esempio. Dopo l'ingresso nella moneta unica il paese ha fatto degli errori tragici. Ha gonfiato il settore pubblico, influenzando negativamente il deficit di bilancio e la competitività. La Grecia non ha liberalizzato i mercati e le professioni e ha perso competitività di prezzo sui mercati mondiali. Nelle finanze statali la Grecia ha creato una bolla. Dal 2009 in avanti sono state fatte manovre molto dure, con tagli alle pensioni e ai salari, minore spesa pubblica e un deficit piu' basso. Sebbene in questo modo la competitività sia stata ripristinata, ci troviamo in una profonda recessione, perché le misure di aggiustamento hanno avuto un effetto pro-ciclico. Non c'è un meccanismo che possa portare la Grecia fuori dalla recessione; nonostante una forte riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto, il tasso di disoccupazione è al 27% e quella giovanile al 56 %. Il ripristino della competitività di prezzo non ha aiutato il mercato del lavoro.

La Grecia ha quindi un modello di business per la sua economia?

La Grecia ha sempre avuto un modello di business, valido nel settore nel turismo, ed ha numerose imprese attive in settori produttivi che riescono ad esportare. Il nostro paese aveva solo una bolla nelle finanze pubbliche, ma non nell'economia reale. Non abbiamo avuto nessuna bolla immobiliare oppure un eccesso di erogazione di prestiti. Adesso dobbiamo realizzare degli incentivi affinché gli investimenti vadano verso le imprese che possono esportare servizi o beni, oppure produrre beni che sostituiscano le importazioni. Dobbiamo liberalizzare le professioni e i mercati. E' molto doloroso, perché durante il processo di transizione aumenta la disoccupazione, e non abbiamo risorse per la previdenza sociale. Ma i greci hanno pazienza. Ci sono proteste solo dal settore pubblico. Le previsioni secondo cui Atene sarebbe stata messa a ferro e fuoco durante le proteste non si sono avverate. I cittadini si sono calmati, perché vedono la luce alla fine del tunnel.

E per quanto riguarda la prospettiva di un'uscita della Grecia dall'Euro?

Tutti gli analisti che si aspettavano un abbandono dell'unione monetaria da parte della Grecia, dovranno pentirsi della loro previsione. Hanno spinto le persone ad investire su di una dissoluzione dell'Euro. Ma in questo modo hanno perso denaro, ed è un bene che sia andata cosi'. Se gli speculatori perdono il loro denaro, il sistema si stabilizza.

Qual'è la sua visione per la Grecia?

Non intendiamo solo ridurre il debito pubblico e raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2020. Vogliamo essere competitivi, esportare e non solo consumare. Non c'è nessun'altro paese che ha pagato un prezzo cosi' alto in termini di riduzioni salariali, tagli alle pensioni e disoccupazione. Adesso siamo vicini al nostro obiettivo e non vogliamo fallire.




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sabato 4 maggio 2013

La Linke tifa piu' Europa


Lafontaine avvia nella Linke un dibattito sulla sostenibilità della moneta unica. I vertici del partito di sinistra si schierano convintamente per il "piu Europa". Da Taz.de.
Che cosa hanno in comune Oskar Lafontaine e Alternative fuer Deutschland (AfD)? Entrambi sono contro l'Euro. Il no di Lafontaine alla moneta unica spacca la Linke.

Oskar Lafontaine, leader della Linke in Saarland, ritiene necessaria la dissoluzione dell'Euro: "se le svalutazioni e le rivalutazioni reali non sono possibili, allora è necessario rinunciare alla moneta unica", scrive Lafontaine sul suo sito web.

Al posto dell'Euro, secondo l'ex ministro delle finanze, dovrebbero tornare le valute nazionali. Il loro corso dovrà essere fissato dall'EU, per evitare speculazioni. Con l'aiuto della BCE, i paesi del sud potranno difendere la loro moneta da una eccessiva svalutazione .

Lafontaine considera l'Euro un fallimento in quanto nell'unione monetaria non esiste una politica salariale coordinata. Le conseguenze sono "una svalutazione reale dei salari, con una riduzione del reddito pari al 20-30%, necessaria in Francia e nell'Europa del sud", continua "stiamo andando verso la catastrofe".

Il giorno precedente Lafontaine sulla Saarbrücker Zeitung aveva ribadito che accanto all'Euro sono necessarie delle valute nazionali. Nella dichiarazione del 30 aprile l'argomento invece non è citato.

La Linke è per l'Euro

Questa posizione sembra essere in contrasto con la linea della Linke. Il partito "nonostante tutti gli errori di progettazione, non è per la fine dell'Euro". Cosi' si dice nel programma elettorale che a giugno dovrà essere discusso a Dresda. Il capogruppo al Bundestag Gysi ha recentemente sottolineato che un'uscita dall'Euro sarebbe fatale. La Germania resterebbe isolata e "l'export crollerebbe".

Steffen Bockhahn, deputato della Linke e pragmatico dell'est, ritiene la posizione di Lafontaine sbagliata: "Gioca pericolosamente con i risentimenti verso l'Euro", dichiara Bockhahn. La Linke non deve strizzare l'occhio alle forze di destra, piuttosto si deve battere per un maggiore spirito solidale e una unione sociale all'interno dell'Eurozona.

Anche Dominic Heilig, membro del comitato esecutivo, considera un ritorno alle valute nazionali come "una sciocchezza costosa e pericolosa". Bockhahn ritiene "scioccante" il modo in cui Lafontaine conduce il dibattito. Mentre il partito sta discutendo il programma elettorale, Lafontaine reclama per sé "uno status speciale" e conduce una discussione tramite dichiarazioni.

Bodo Ramelow, leader del partito in Turingia, vede le esternazioni dell'ex ministro delle finanze sotto una luce diversa. La posizione di Lafontaine non è "un populismo anti-Euro, piuttosto un modo di pensare e una posizione giustificata da ragioni di politica fiscale". Lafontaine avrebbe solo rafforzato la sua ben nota posizione: l'Euro potrà funzionare solo con una politica salariale e fiscale comune.

I sindacati sono responsabili

"A me sembra un voler riaccendere la discussione, ma un po' rassegnato", dice Ramelow. In verità la dichiarazione di Lafontaine sembra indirizzata ai sindacati tedeschi che con la loro moderazione salariale hanno contribuito a causare la crisi dell'Eurozona. La Linke, secondo Ramelow, "non puo' in nessun caso mostrarsi anti-europea".

E questa è proprio la paura di alcuni pragmatici dell'est. A causare malumore c'era già stata un'intervista di Sahra Wagenknecht, vice capogruppo al Bundestag, in cui aveva espresso parole di elogio per il nuovo partito euro-critico Alternative fuer Deutschland. Nella sua critica alla europolitca, secondo Wagenknecht, tra la Linke e la AfD " ci sono molti punti in comune".

Alcuni nella Linke dell'est ipotizzano che in questo modo il confine con il populismo di destra diventi poroso e la Linke possa attrarre anche l'elettorato euroscettico. In questo modo la Linke nell'ovest potrebbe puntare su nuovi elettori, ipotizza un pragmatico dell'est - "ma non sarebbe piu' il mio partito".

Katja Kipping, leader della Linke, non ha una grande considerazione delle posizioni di Lafontaine: "fuori dall'Euro, non è la nostra posizione", cosi' dice la Kipping alla TAZ. La Linke considera "le politiche di divisione fatte da Angela Merkel come una grande minaccia per la EU - un ritorno al D-Mark con la Linke tuttavia non ci sarà". Continua la Kipping: "Vogliamo l'Europa e l'EU".

Lafontaine l'europeista convinto

Le ragioni di Lafontaine, diversamente dalla AfD, "non sono nazional-egoiste". Lafontaine argomenta da "europeista convinto", invia pero' il messaggio sbagliato. "Il nostro messaggio deve essere: ampliamento dell'Euro ad una unione sociale ed economica, non la dissoluzione della moneta unica", dice Kipping.

Anche Bernd Riexinger, leader della Linke nell'ovest, vuole lasciare a distanza i flirt con gli euroscettici. Via Twitter scrive che AfD e la Linke sono due mondi completamente diversi. La Linke dice: "No all'austerità si' all'Euro", mentre la AfD "No all'Euro, si' all'austerità". E per questo Riexinger riceve all'interno del partito un'approvazione inaspettata.

Jan Korte, pragmatico dell'est, dice alla TAZ: "Sostengo in pieno la posizione dei leader del mio partito". Anche senza un ufficio politico, Lafontaine resta tuttavia una figura chiave nella Linke dell'ovest. Ed è del tutto possibile che il suo no all'Euro continui a dividere la Linke.


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venerdì 3 maggio 2013

Sinn: ma quanto costa salvare Cipro?


Hans Werner Sinn, dalle colonne della conservatrice WirtschaftsWoche, torna a cavalcare i saldi Target dell'Eurosistema: il costo del salvataggio cipriota sarà molto piu' alto delle cifre ufficiali. Da WirtschaftsWoche
Saldi Target ciprioti - www.querschuesse.de
Il salvataggio di Cipro sarà decisamente piu' costoso rispetto ai 10 miliardi di Euro ipotizzati dai politici. A questi dovranno essere aggiunti i 12 miliardi di Euro dei crediti Target ed ELA erogati attraverso il sistema delle banche centrali. Misurato sul PIL del paese, il pacchetto di salvataggio raggiunge dimensioni greche.

La svolta europea nel salvataggio di Cipro è rilevante. Ancora in estate la commissione EU sosteneva la tutela dei creditori delle banche in difficoltà, adesso invece per la prima volta i creditori partecipano al salvataggio. Il leader dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ha definito Cipro il nuovo modello da seguire, mentre la Commissione EU sta preparando una nuova direttiva sul tema.

In questo modo si darà finalmente ascolto alla petizione degli economisti tedeschi: 480 di loro si erano pronunciati, con 2 appelli simili nei toni, contro una soluzione della crisi bancaria nel sud-europa finanziata con il denaro del contribuente del nord-Europa. Al contrario, la soluzione proposta era il cosiddetto Debt-Equity-Swaps: una ricapitalizzazione delle banche da realizzarsi con la conversione in azioni delle obbligazioni bancarie.

I contribuenti degli stati europei ancora in salute non dovrebbero pero' gioire prima del tempo. Nel caso di Cipro, nonostante la partecipazione dei creditori privati, sono coinvolti molto di piu' di quanto non si voglia ammettere. Le dichiarazioni ufficiali dei politici ci dicono che gli aiuti saranno pari a 10 miliardi di Euro, di cui 9 miliardi dal fondo ESM e un miliardo dal FMI. 

La verità è che Cipro in precedenza aveva già ricevuto 9 miliardi di Euro di crediti Target per finanziare la sua bilancia delle partite correnti. Dall'inizio della crisi del 2008 fino ad oggi, Cipro ha accumulato disavanzi di conto corrente e quindi debito estero per un importo di circa 8 miliardi di Euro. Non si tratta di debiti privati, ma di debiti Target con la BCE, che di fatto durante la crisi è stata il piu' grande finanziatore dello standard di vita dei ciprioti. E' interessante notare che il consiglio BCE dopo i recenti accordi fra la comunità internazionale e Cipro ha messo a disposizione dell'isola altri 3 miliardi di Euro attraverso la "Emergency-Liquidity-Assistance" (ELA). I prestiti ELA sono fondi di emergenza della banca centrale per gli istituti di credito illiquidi. Somma che a breve o a lungo termine potrebbe trasformarsi in crediti Target.  I prestiti esteri per il salvataggio di Cipro allo stato attuale raggiungono i 22 miliardi di Euro.

Il saldo Target negativo di Cipro significa che le banche centrali straniere oppure la BCE hanno onorato i creditori esteri oppure pagato le importazioni cipriote trasferendo denaro per conto delle banche dell'isola. Tali saldi sono stati resi possibili dalla banca centrale di Cipro che ha messo a disposizione delle sue banche private denaro fresco appena uscito dalla stampante elettronica, necessario per poter compensare la riduzione dei depositi a seguito dei trasferimenti internazionali.

Si tratta di una creazione di denaro speciale che non è servita a garantire la fornitura di liquidità sul mercato interno cipriota, piuttosto ha dato la possibilità al paese di acquistare all'estero i beni necessari al mantenimento del suo standard di vita. Se Cipro non sarà in grado di rimborsare i crediti oppure di pagare gli interessi, gli altri stati dell'Eurozona subiranno una perdita pari al valore attuale dei crediti target. Di fatto non c'è alcuna differenza con gli altri crediti.

Molti si sono chiesti perché Cipro non abbia abbandonato l'Euro. Dopo tutto il paese potrebbe tranquillamente uscire visto che il necessario controllo sui movimenti di capitale è già in essere. I crediti Target sono la spiegazione: in caso di uscita Cipro dovrebbe stampare una nuova valuta nazionale, che all'estero pero' non sarebbe scambiata con nulla che abbia un valore. Stampare nuovi Euro, con i quali è possibile pagare le importazioni e rimborsare i debiti, è la sola possibilità di salvare almeno a metà il vecchio modello di business.

Considerando i crediti Target, il salvataggio di Cipro si avvicina alle dimensioni di quello greco. I sopra menzionati 22 miliardi di Euro corrispondono al 123 % del PIL cipriota, che nel 2012 era pari a 18 miliardi di Euro. La Grecia fino ad ora ha ricevuto 320 miliardi di Euro di crediti dalla BCE e dalla comunità internazionale, altri 55 miliardi sono già stati promessi. Si tratta del 193 % del PIL greco, che nel 2012 ha raggiunto i 194 miliardi di Euro.

I salvataggi di Cipro e della Grecia non potranno ripetersi per la Spagna e per l'Italia, se questi paesi dovessero finire in difficoltà simili. Se a loro volessimo concedere gli stessi benefici in relazione al PIL, per poterli tenere in vita all'interno della zona Euro, il resto dei paesi Euro dovrebbe concedere crediti per un valore pari a quasi 5 bilioni di Euro - ai quali la Germania dovrebbe contribuire con almeno il 40 % (due bilioni di Euro). Poiché tutti sanno che questo non è possibile, l'ora delle decisioni in Europa potrebbe avvicinarsi molto piu' velocemente di quanto non si pensi.


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mercoledì 1 maggio 2013

Hartz IV varca il Reno?


Dopo le critiche arrivate da Parigi, la politica e gli economisti tedeschi replicano attaccando la situazione di stallo in Francia: o avviate le riforme oppure finirete come i sud-europei. Da Handelsblatt.com
Il governo è preoccupato per le condizioni del vicino francese. Gli economisti tedeschi temono il peggio, se Parigi non dovesse affrontare le riforme con coraggio.

Crescente perdita di competitività, esodo incontrollato di società verso l'estero, costo del lavoro per unità di prodotto troppo alto (dall'introduzione dell'Euro è cresciuto del 30%), oneri fiscali e previdenziali fra i piu' alti di tutta la zona Euro: le informazioni che il ministero dell'economia ha raccolto sulle condizioni economiche della Francia, per usare un eufemismo, non sembrano lusinghiere. In considerazione delle critiche recentemente arrivate da Parigi e rivolte alla politica europea della cancelliera Angela Merkel, si potrebbe pensare che i funzionari del ministro Philipp Rösler (FDP) intendevano solamente replicare attaccando la politica economica e industriale del vicino di casa. La verità è un'altra.

Anche gli economisti tedeschi di spicco giungono alla stessa valutazione fatta dal Ministero di Rösler. Descrivono una situazione ancora peggiore per la Francia, con possibili conseguenze per il resto dell'Eurozona, se la Grande Nation non dovesse affrontare le riforme con il vigore necessario. "La Francia a mio avviso dovrà aprire il piu' grande cantiere per le riforme d'Europa", dice Stefan Bielmeier, capo-economista della DZ Bank. Tuttavia il governo francese è ancora riluttante nel mettere in pista un radicale programma di riforme, poiché teme il conflitto con i sindacati.

E' un gioco con il fuoco - a spese di tutta l'Eurozona. "Se lo stallo politico in Francia dovesse continuare e la credibilità nella capacità di fare riforme dovesse indebolirsi ulteriormente, cio' potrebbe portare ad una nuova ondata di incertezza sui mercati finanziari europei", ipotizza Bielmeier. Se il paese dovesse iniziare a vacillare, gli stessi euro-salvatori si troverebbero sotto pressione. Perché gli strumenti anti-crisi esistenti, secondo l'esperto di DZ Bank, non sarebbero piu' sufficienti per salvare la seconda economia della zona Euro.

"Date le dimensioni della Francia, i meccanismi di salvataggio previsti non sarebbero sufficienti", continua Belmeier. "In un caso del genere avremmo allora bisogno della solidarietà degli altri grandi paesi della zona Euro, in particolare della Germania, per ripristinare la fiducia". E allora, teme Bielmeier, anche il passo verso gli Euro-bond non sarebbe piu' cosi' lontano. Ma allora come è possibile che la Francia sia finita in difficoltà? E perché il governo non fa niente? I principali istituti di ricerca economica tedeschi, nelle loro relazioni di inizio anno, hanno fatto una diagnosi amara del paziente francese.

Tipico del declino: le case automobilistiche

"La perdita di quote di mercato superiore alla media, combinata con una tendenza al peggioramento delle partite correnti, è alquanto preoccupante", scrivono gli economisti. Cio' non ha solo a che fare con la competitività di prezzo, peggiorata costantemente dal 2000 al 2008, ma che da allora sta migliorando di nuovo. Un problema ancora maggiore sembra essere l'orientamento regionale dell'export: "l'economia legata all'export non è riuscita a beneficiare del boom economico nei paesi emergenti, e dipende ancora in buona parte dai mercati di sbocco all'interno della zona Euro", sostengono gli esperti.

Il capo-economista di Commerzbank, Jörg Krämer, teme che i francesi possano finire in una situazione difficile molto simile a quella italiana: "La Francia dall'introduzione dell'Euro ha perso un terzo della sua quota sui mercati mondiali, le partite correnti sono peggiorate tanto quanto quelle italiane", ha dichiarato Krämer ad Handelsblatt Online.

E cio' ha naturalmente a che fare con il fatto che il costo del lavoro per unità di prodotto è troppo alto. Mentre un'ora di lavoro in Germania costa in media 30,4 €, sull'altra sponda del Reno il costo medio è di 34,2 € per ora. Tipica del declino è la situazione dei costruttori di auto. "Qui si condensano i problemi della Francia", ci dice Krämer. "Il paese produce il 40 % di auto in meno rispetto al 2005, la Germania al contrario il 15% in piu'".

Krämer trova positivo il fatto che il governo francese non stia piu' ignorando i problemi economici. Ma i primi passi verso le riforme sono stati troppo timidi, secondo l'economista di Commerzbank. Il governo intende ridurre il peso dei contributi sociali per le imprese, ma la procedura di rimborso è cosi' complicata che molte imprese non potranno farne uso. Inoltre Krämer critica il fatto che le imprese in crisi, con l'accordo dei sindacati, potranno non applicare i contratti collettivi: "tuttavia i sindacati potranno inviare i loro rappresentanti nei consigli di amministrazione delle imprese, fatto che potrebbe essere dannoso per la flessibilità delle imprese".

Per il direttore della ricerca in Economia internazioanale presso il Deutschen Institut für Wirtschaftsforschung (DIW), Christian Dreger, è arrivato il momento per la Francia di prendere contromisure per evitare il declino. "Il paese deve tornare urgentemente ad essere competitivo a livello internazionale e ha bisogno di ulteriori riforme strutturali nel mercato dei prodotti e del lavoro, come ad esempio una maggiore flessibilizzazione delle condizioni di lavoro", ha dichiarato Dreger in un'intervista ad Handelsblatt Online. I modelli vecchi e molto popolari come ad esempio la svalutazione della moneta, all'interno della zona Euro non sono piu' disponibili e poi non farebbero che nascondere i problemi sottostanti.

Alla fine saranno i mercati a decidere

"Senza la partecipazione dello stato tuttavia la conversione non potrà funzionare", avverte Dreger. "Il bilancio pubblico non potrà concentrarsi solamente sul consolidamento, ma piuttosto dovrà dare piu' che in passato un maggiore impulso alla crescita". Un ruolo importante dovrebbe essere svolto da una maggiore cooperazione fra le imprese e l'università.

Anche il ricercatore sulla congiuntura economica dell'Istituto IFO di Monaco, Kai Carstensen, consiglia alla Francia di continuare con l'aggiustamento appena avviato: "Se questo sarà fatto con determinazione e in tempi rapidi, la Francia potrà superare i suoi problemi macroeconomici", ha dichiarato Carstensen ad Handelsblatt Online. I mercati finanziari continuano ad avere fiducia nello stato francese, che ancora dispone di un certo spazio di manovra finanziario. "Tuttavia, se le riforme necessarie dovessero essere posticipate, anche per la Francia la situazione potrebbe farsi piu' difficile".

Alla fine potrebbero essere i mercati a decidere il destino della Grand Nation. Il capo-economista di Deka-Bank Ulrich Kater osserva invece che i mercati finanziari già da tempo discutono delle condizioni problematiche francesi. Tuttavia egli è convinto che sui mercati finanziari il paese non finirà in difficoltà come invece è accaduto a Spagna e Italia. La situazione non sarebbe ancora cosi' difficile, ha detto Krämer ad Handelsblatt Online. "Tuttavia per le riforme resta poco tempo, perché i loro effetti sono molto lunghi, come del resto stiamo vedendo anche nel sud-Europa", ha sottolineato l'economista.

Gli sforzi fatti fino ad ora dal governo francese non sono abbastanza, sottolinea Kater. Per avviare ampie riforme dovrebbe essere sufficiente l'argomento dell'alta disoccupazione. "Se nei prossimi due anni non accadrà nulla, allora sarà il mercato dei capitali a chiedere una cambiamento di rotta".

In questa direzione va anche la valutazione del capo-economista di DZ-Bank Bielmeier. Ritiene la pressione dei mercati finanziari sulla Francia per il momento contenuta, se misurata in termini di differenza di rendimento con i bund tedeschi. "E' come se il governo per dare il via alle riforme necessarie avesse bisogno di un cambio di percezione degli investitori", ipotizza Bielmeier e mette in guardia dalle conseguenze, se non dovesse accadere nulla. "Una duratura assenza di crescita in Francia potrebbe influenzare negativamente l'intera Europa e in questo modo rendere le riforme strutturali nei paesi del sud-Europa piu' difficili".


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