sabato 6 ottobre 2012

Mercantilista a chi?


FAZ risponde alle accuse di dumping salariale lanciate dal commissario László Andor. Secondo il quotidiano conservatore si tratta di una polemica inutile, i prodotti tedeschi si vendono perché sono i migliori e gli avanzi delle partite correnti serviranno a sostenere una popolazione in rapido invecchiamento. 

La moderazione salariale ha reso i prodotti tedeschi nuovamente competitivi sui mercati mondiali. Ma per molti la forza dell'export tedesco è un pugno nell'occhio. Alcuni sostengono che questa è la vera causa dei problemi nel sud Europa. Ma l'accusa di mercantilismo  è una sciocchezza. Un'analisi

Il dinamismo delle esportazioni tedesche per molti è un pugno nell'occhio. Sono in molti infatti a considerare gli squilibri della bilancia commerciale come la causa della crisi Euro. Fra questi il commissario agli affari sociali László Andor, che in una recente intervista alla FAZ ha denunciato una presunta "politica economica mercantilista". Secondo Andor, la moderazione salariale avrebbe reso i prodotti tedeschi piu' competitivi sui mercati mondiali e contribuito a causare la crisi dei paesi periferici. Come lui la pensano molti economisti Keynesiani, sindacalisti e politici.

L'accusa di mercantilismo è priva di senso. Con questo termine si identifica una politica dirigista con dazi doganali e sovvenzioni mirate a sostenere le esportazioni, diffusa nel secolo dicassettesimo e diciottesimo  - prima della diffusione delle idee sul libero scambio di Adam Smith. Oggi si potrebbe parlare di una politica mercantilista in Cina. Pechino applica questa politica prima di tutto attraverso il controllo statale del cambio, la cui sottovalutazione può essere corretta solo lentamente, generando una bolla nel settore delle esportazioni.

Parlare di dumping salariale è pura polemica

La moderazione salariale tedesca dello scorso decennio non è stato il risultato di una regolamentazione del governo, piuttosto il frutto di una libera contrattazione sotto la pressione di una disoccupazione di massa. Questo fenomeno può essere inquadrato solo nel contesto degli eccessivi incrementi salariali degli anni '90, dopo la riunificazione. Tali squilibri dovevano essere corretti. Parlare di dumping salariale, come fa una certa sinistra è solo inutile polemica. Da sempre la Germania appartiene al gruppo di paesi con un elevato costo del lavoro, e in Europa si colloca nella parte piu' alta della classifica. I prodotti tedeschi nel mondo non vengono certo considerati come particolarmente economici, ma convincono molto di piu' per la loro qualità e affidabilità. L'export tedesco è cosi' forte anche perché il mix dei suoi prodotti con i macchinari di alto livello, le automobili, la chimica e l'elettronica è ottimale per i bisogni dei paesi in via di sviluppo.

Gli elevati tassi di crescita dell'export verso Cina, India, Brasile, Russia e i paesi arabi esportatori di petrolio sono il motivo principale dei grandi avanzi commerciali con l'estero. Quest'anno il valore dei beni esportati per la prima volta potrebbe superare i 1100 miliardi di Euro, e l'import potrebbe crescere per la prima volta oltre i 900 miliardi di Euro. Nel saldo delle partite correnti deve poi essere considerata la bilancia dei servizi (ad esempio le spese per i viaggi all'estero), e i trasferimenti (ad esempio le rimesse dei Gastarbeiter, gli aiuti allo sviluppo, i contributi alla EU). La bilancia delle partite correnti potrebbe quindi avere un saldo positivo record di 160 miliardi di Euro, 6% del prodotto interno lordo - cio' che nella EU ora arbitrariamente viene definito come livello critico.

Hans Werner Sinn: la Germania consegnava Porsche e riceveva in cambio certificati Lehman

L'avanzo commerciale verso l'area Euro tuttavia nel frattempo si è ridotto, ed è ormai al 2% del PIL. La quota dell'export tedesco diretto verso l'Eurozona, dall'introduzione dell'Euro è scesa dal 46 al 39%. La crescita nella periferia europea non era sostenibile. Con aumenti salariali oltre la produttività si è finanziata una bolla dei consumi, la competitività è scesa, le partite correnti hanno accumulato deficit assurdi. Con un doloroso processo di aggiustamento tutto questo deve ora essere corretto. L'Irlanda ha fatto dei buoni progressi, la Spagna e il Portogallo stanno lottando. La Grecia è finita nella spirale della deflazione, il corso fisso dell'Euro rende il processo molto difficile.

I deficit delle partite correnti sono uno specchio dell'economia, ma la loro interpretazione non è così semplice. I deficit sono sempre un segno di debolezza? Molti economisti nel caso degli Stati Uniti hanno argomentato che il loro saldo negativo è dato dall'attrattività del paese: investitori da tutto il mondo depositano il loro denaro in America, in questo modo gli americani possono permettersi maggiori importazioni di merci e servizi. Questo processo si è trasformato in parte anche in una bolla. Hans Werner Sinn, il presidente dell'Istituto IFO, ha commentato sarcasticamente: la Germania consegnava Porsche in cambio di certificati Lehman. E nel caso del Sud-Europa? Una parte dell'export in quei paesi è stato pagato con assegni non coperti. Ora la fatture minacciano di non essere pagate. In realtà gli esportatori dovrebbero considerarle non piu' esigibili - ma purtroppo ora sono i contribuenti i veri pagatori degli Euro salvataggi.

L'export è un fine in sé e un avanzo commerciale è desiderabile in quanto tale: questo pensano i mercantilisti. Ma in ultima analisi, lo scopo ultimo di ogni attività economica è sempre la soddisfazione delle esigenze dei consumatori.  La Germania ha una popolazione in rapido invecchiamento e per questo può solo rallegrarsi degli avanzi commerciali con l'estero. La generazione dei babyboomer sta ancora lavorando, risparmia e investe una parte del suo patrimonio all'estero. I patrimoni netti tedeschi all'estero - nonostante la crisi - dal 2005 sono raddoppiati raggiungendo circa un  trilione di Euro. Se la popolazione attiva dovesse ridursi, l'avanzo commerciale inevitabilmente cadrà, ed il consumo crescerà piu' della capacità produttiva. Nei prossimi due decenni gli avanzi delle partite correnti scompariranno. Allora l'esercito crescente dei pensionati inizierà ad erodere i patrimoni (all'estero) accumulati in tutta una vita.

giovedì 27 settembre 2012

Bofinger: la fine dell'Euro sarebbe la rovina della Germania


Peter Bofinger, consigliere del governo di Berlino, influente economista, critico verso il rigorismo Merkeliano, pubblica un libro a favore dell'Euro. La sua tesi: il ritorno al D-Mark sarebbe un disastro per l'economia tedesca, dobbiamo difendere ad ogni costo la moneta unica. La Germania è davvero ricattabile? Un estratto del libro da Die Welt.

L'Eurocrisi risveglia in molti il desiderio di tornare al D-Mark. Ma l'immagine del passato è distorta, sostiene l'economista Peter Bofinger. Il ritorno alla vecchia valuta avrebbe conseguenze drammatiche.

Come sarebbe andata alla Germania senza l'Euro? Per rispondere a questa domanda, si deve analizzare l'esperienza di quei paesi, le cui monete - similmente a quanto accaduto con il D-Mark - hanno avuto sul mercato delle divise una tendenza all'apprezzamento. 

I problemi causati da una moneta troppo forte, emergono chiaramente nel caso del Giappone. Questa economia oggi ha un rapporto debito/pil del 214 %, piu' del doppio di quello tedesco.

I problemi del Giappone collegati ad moneta troppo forte iniziano nella prima metà degli anni '90. Il paese aveva già vissuto l'esplosione di una grande bolla creditizia e avrebbe avuto urgente bisogno di stimoli per la crescita provenienti dal commercio con l'estero. Ma contro ogni logica economica, il mercato delle divise ha regalato al paese un apprezzamento dello Yen nei confronti del dollaro US: dall'aprile 1990 all'aprile 1995 il valore della moneta giapponese è raddoppiato.

Intensificazione della pressione deflazionistica

La pressione deflazionistica interna si è quindi aggravata ulteriormente. Per ripristinare la competitività, i giapponesi hanno dovuto ridurre i salari. Dopo ripetute fasi di apprezzamento della moneta, i salari giapponesi nominali oggi sono del 12% piu' bassi rispetto al livello del 1995.

L'economia giapponese ha quindi sperimentato una forte pressione deflazionistica. Pressione tale da rendere necessari numerosi stimoli della domanda pubblica per mantenere il paese in un certo equilibrio macroeconomico.

I persistenti deficit del bilancio pubblico sono una delle cause dell'elevato livello di indebitamento del paese. La seconda causa è stato un prodotto interno lordo stagnante, che al denominatore è rimasto invariato proprio per la deflazione interna.

Il Giappone ha accumulato ingenti riserve in dollari

Ma non è tutto. Nel tentativo di fermare l'apprezzamento della valuta con l'intervento sul mercato delle divise, la Banca del Giappone ha acquistato grandi riserve in dollari, principalmente in forma di obbligazioni del tesoro americano. Recentemente questi crediti hanno raggiunto 1.2 trilioni di dollari. Crediti che possono essere visti come una garanzia del Giappone verso gli Stati Uniti. 

Questo è chiaramente piu' di quanto ipotizzato dal "Haftungspiegel" dell'Ifo Institute, vale a dire 779 miliardi di Euro. La somma a rischio nel "worst case", cioè in caso di insolvenza di tutti i PIIGS.

Questi confronti hanno delle inevitabili difficoltà. Dovrebbe tuttavia farci riflettere che un paese con un un'economia molto avanzata come il Giappone, forte nei settori dell'auto e della meccanica, come la Germania, a causa della rivalutazione della sua moneta, negli ultimi 2 decenni non solo ha sperimentato una costante deflazione e un debito pubblico spaventosamente alto, ma si è visto costretto a finanziare il debito pubblico americano in grande quantità.

L'unione di trasferimento cinese con gli Stati Uniti

La Cina è un secondo interessante esempio illustrativo. La spaventosa esperienza del Giappone e del suo tasso di cambio determinato dal mercato potrebbero aver spinto la leadership cinese a seguire una politica di cambio guidata: il tasso di cambio viene definito dagli interventi della banca centrale.

La strategia cinese è arrivata al punto in cui il corso del Renmibi è definito interamente dalle autorità cinesi, in modo da evitare - diversamente dal caso giapponese - indesiderate interferenze dall'esterno sull'economia. Ma per poter fare questo la Cina deve pagare un prezzo molto alto. Nel corso degli ultimi 12 anni, grazie all'intervento sul mercato delle divise delle autorità politiche, la Cina ha accumulato riserve in dollari pari a 3.2 miliardi di dollari.

Anche qui bisogna ipotizzare che la parte piu' grande sia stata investita direttamente in titoli del debito pubblico americani. Questa enorme garanzia incrociata, che può essere definita come la piu' grande unione di trasferimento del mondo, va ben al di là di quello che gli Eurocritici piu' pessimisti possono aspettarsi per la Germania.

Ma dietro c'è un modello economico discutibile come il mercantilismo tedesco dell'ultimo decennio. Nel tentativo di diventare sempre piu' competitivi, si è perseguita una politica salariale di moderazione, accompagnata da una debole domanda dei consumatori interni. In questo modo si è potuto esportare su larga scala, soprattutto verso paesi che si sono potuti permettere il tutto a debito.

Alla fine si sono accumulati grandi avanzi delle partite correnti, ma non è certo se per questi si potrà ottenere in cambio qualcosa di concreto.

La Svizzera, l'ultimo esempio di vittima dei mercati valutari

A lungo la Svizzera nella discussione tedesca è stato l'esempio utilizzato per mostrare che anche con una propria moneta si poteva competere con successo sui mercati finanziari. Senza interventi di rilievo sul mercato, il Franco svizzero ha mantenuto il proprio corso stabile per diversi anni intorno a 1.5 franchi per ogni euro.

Ma la situazione è cambiata radicalmente con l'inizio della crisi greca nel gennaio 2010. Nel giro di 15 mesi il Franco svizzero si è apprezzato così tanto, che nell'agosto 2011 ha quasi raggiunto la parità con l'Euro.

Dopo molte esitazioni la Banca Centrale Svizzera il 6 settembre 2011 ha tirato il freno di emergenza e ha annunciato un limite di 1.2 Franchi per Euro. Da allora il cambio si muove di poco sopra questa soglia. L'intervento è stato inizialmente di successo, ma non è stato di grande aiuto per la Svizzera.

In primo luogo, il tasso limite inferiore fissato, rispetto al corso medio degli anni 1999-2009, pari a 1.55 CHF, è sempre molto svantaggioso per l'economia svizzera. L'effetto è stato una sensibile riduzione delle esportazioni e dei pernottamenti. Inoltre, con l'intervento non si è riusciti a fermare il flusso di capitali provenienti dall'estero. Questo flusso infatti non ha natura speculativa, ma è causato dalla preoccupazione che uno o piu' paesi possano uscire dall'Euro.

In totale le riserve svizzere in valuta estera alla fine del giugno 2012 erano pari a 365 miliardi di Franchi. Vale a dire il 67 % del prodotto interno lordo della Svizzera.

Il mondo del nuovo D-Mark non sarebbe un mondo perfetto

Chi oggi crede che il ritorno al D-Mark ci porterebbe in un mondo ideale, potrebbe restare deluso. Probabilmente alla Germania succederebbe quello che è successo al Giappone. Come il vecchio D-Mark, il nuovo D-Mark entrerebbe a far parte del club delle monete per le quali sui mercati esiste una convenzione non scritta, che le spinge sempre verso una rivalutazione.

La Bundesbank nuovamente responsabile per il D-Mark aspetterebbe un po' prima di bloccare la rivalutazione del D-Mark. Da un lato nelle banche centrali c'è sempre la sensazione irrazionale che solo una valuta forte è una valuta buona. Dall'altro gli interventi sul mercato delle valute da alcuni economisti vengono visti in maniera molto critica.

Nel loro mondo dominato dalla fede nei mercati, non è pensabile che una istituzione dello stato si inserisca nei meccanismi di mercato.

E non cambiano nemmeno idea sul fatto che - come mostrato in numerosi studi econometrici - esisterebbero relazioni sistematiche tra i fondamentali economici (crescita, inflazione, commercio estero) e il tasso di cambio ufficiale. Si può assumere con certezza che per gli economisti della Bundesbank, questo scetticismo verso l'intervento sul mercato delle divise resterebbe invariato.

Il nuovo D-Mark nel corso degli anni avrebbe quindi una tendenza alla rivalutazione. Poiché questa tendenza potrebbe incidere pesantemente sulla competitività delle nostre esportazioni, entrerebbero in scena allora rinomati economisti, pronti a  chiedere pesanti riduzioni dei salari.

Stipendi in picchiata e rischio deflazione

E naturalmente i lavoratori tedeschi sarebbero pronti a fare di tutto per salvare i loro posti di lavoro. La riduzione dei salari aprirebbe allora la via verso la deflazione. Questo porterebbe il rapporto debito/pil in Germania verso l'alto, anche se lo stato tedesco non facesse piu' nuovo debito.

Come in Giappone dovremmo temere allora che ad ogni fase di moderazione salariale segua una fase di rivalutazione della moneta. A un certo punto il valore raggiunto potrebbe diventare troppo alto anche per la Bundesbank, tanto da spingerla ad intervenire sui mercati. Le esperienze del Giappone, della Cina e della Svizzera mostrano che questo può portare ad accumulare riserve in divisa anche molto grandi.

Sulla base delle dimensioni dell'economia tedesca, in un tempo anche piu' breve rispetto  a quanto accaduto in Svizzera, si potrebbero raggiungere i 1.700 miliardi di Euro di riserve.

Se si è sostenitori di un ritorno al D-Mark, perchè non si vuole piu' essere garanti per gli altri stati, sarebbe allora necessario guardare all'esperienza della Cina, del Giappone e della Svizzera. Garantiscono in maniera illimitata per i titoli del debito pubblico americani acquistati (e nel caso della Svizzera per le obbligazioni della zona Euro), senza avere la minima possibilità di influenzare la politica economica del paese debitore.

domenica 23 settembre 2012

Un po' piu' uguale degli altri?


László Andor, commissario europeo per gli affari sociali, intervistato da FAZ.net ha il coraggio di raccontare ai tedeschi una dura verità: le vostre politiche di dumping salariale hanno contribuito alla crisi Euro, non è tutta colpa dei latini. Riuscirà questa narrazione della crisi a scalfire i pregiudizi anti-PIIGS? 

La Germania deve fare la sua parte nel ribilanciamento degli squilibri europei, chiede László Andor, commissario EU per gli affari sociali. I salari devono crescere e dovrà essere introdotta una paga oraria minima per tutti i lavoratori. 

FAZ: Herr Andor, lunedi a Berlino ha tenuto un discorso su come la EU può aiutare la Germania a creare nuovi posti di lavoro. In questo momento la disoccupazione in Germania è piu' bassa che negli altri paesi europei. La Germania ha veramente bisogno di ripetizioni?

LA: E' vero, l'economia tedesca non solo si è ripresa velocemente dalla crisi, ma ha anche creato nuovi posti di lavoro. Ma il mercato del lavoro in Germania è sempre piu' segmentato. Un gran numero di occupati ha solo un Minijob. Se continua così, il divario fra lavori regolari e Minijobs crescerà rapidamente. I minijobber rischiano di restare in questa situazione e di cadere nella trappola della povertà.

FAZ: Detto in parolo chiare, la EU sta facendo pressione per l'introduzione di salari minimi in Germania? 

LA: La commissione EU nel documento di aprile sul mercato del lavoro si è pronunciata chiaramente per l'introduzione dei salari minimi (Mindestlöhne). Un'altra questione è quale dovrà essere il loro livello.

FAZ: E a suo parere quale dovrebbe essere il loro livello in Germania?

LA: Questo dovrà essere negoziato dalle parti sociali. Sarà decisivo qualcos'altro però: i salari in Germania dovranno tornare a seguire lo sviluppo della produttività. La Germania negli ultimi 10 anni ha esercitato una enorme moderazione salariale per poter diventare piu' competitivita - e questo ha avuto conseguenze per gli altri stati EU.

FAZ: Il vero problema non è stato invece il fatto che i paesi in crisi hanno vissuto per molti anni al di sopra delle proprie possibilità?

LA: Gli squilibri nell'Eurozona non sono solo il risultato di politiche sbagliate nei paesi in crisi. La Germania ha avuto un ruolo importante, con la sua politica mercantilista ha rafforzato gli squilibri in Europa e causato la crisi. In futuro dovremo seguire da vicino lo sviluppo dei salari a livello europeo e fare in modo che all'interno dell'area monetaria non divergano in maniera così forte, come è accaduto negli anni precedenti.

FAZ: In Germania l'idea di ridurre la propria competitività per aiutare i paesi in crisi, non incontrerebbe l'entusiasmo della maggioranza.

LA: In Germania non ha causato grande entusiasmo anche la decisione del Presidente della Banca Centrale di acquistare obbligazioni degli stati in crisi. E tuttavia, è necessario da una prospettiva europea.

FAZ: Considera giusto l'acquisto di titoli del debito pubblico da parte della BCE?

LA: E' solo una soluzione di ripiego. Ma fino a quando la politica non mette a disposizione i mezzi necessari per affrontare la crisi, abbiamo bisogno della BCE, per potercela cavare in qualche modo. 

FAZ: Se il fondo di salvataggio ESM resta in funzione...

LA: Con il fondo ESM, e quando avremo gli Eurobond, la situazione sarà completamente diversa.

FAZ: Tornando alle dinamiche salariali e alla riduzione negli squilibri nella bilancia delle partite correnti. Se la Germania non dovesse seguire le indicazioni della Commissione, intende sul serio costringere il paese?

LA: La commissione intende verificare la politica economica degli stati e per fare questo ha in mano i mezzi necessari per procedere contro gli stati che non fanno nulla contro gli squilibri nella zona Euro. La Germania tuttavia deve porre a se stessa la domanda, se nell'Unione Europea intende procedere secondo il motto : "in Europa non sono tutti uguali".

FAZ: Nessun stato ha davvero preso sul serio le raccomandazioni economiche della Commissione. Questo mostra almeno l'analisi delle cosiddette raccomandazioni specifiche per ogni paese dello scorso anno.

LA: Ma quello era anche il primo anno in cui abbiamo operato seriamente. Quest'anno andrà in maniera molto diversa, ne sono sicuro.

giovedì 20 settembre 2012

Da 400 € a 450 € al mese


Dopo 10 anni senza recupero dell'inflazione, lo stipendio degli oltre 7 milioni di occupati con un minijob passa da 400 € a 450 €: vicolo cieco che porta alla povertà oppure trampolino per un vero lavoro? Da FAZ.net



Circa 7 milioni di cittadini hanno un'occupazione senza assicurazione sociale: guadagnano al massimo 400 € al mese, lordo e netto coincidono. Questo limite superiore  sarà ora aumentato a 450 €. La DGB (confederazione sindacale) critica la proposta.

Il limite massimo di reddito per i Minijobs il prossimo anno dovrebbe passare dagli attuali 400 € ai 450 € mensili. E' quanto prevede un disegno di legge approvato mercoledi dal governo. Il progetto, nato dall'iniziativa dei gruppi di maggioranza, dovrà essere approvato la prossima settimana dai gruppi parlamentari. L'unione e la FDP giustificano l'innalzamento sostenendo che il tetto previsto per questi contratti non veniva ritoccato dal 2003. Il limite per i cosidetti midijobs dovrebbe invece passare da 800 a 850 € al mese. Oltre all'incremento, in futuro è prevista un'assicurazione obbligatoria per la pensione statale, da cui tuttavia i minijobber avranno la possibilità di essere esentati. Al settore pubblico e alla previdenza sociale questa nuova regolamentazione costerà 370 milioni all'anno.

Il Deutsche Gewerkschaftsbund (DGB) - confederazione sindacale - ha messo in guarda da un allargamento del settore del lavoro a basso salario. Il membro del consiglio direttivo DGB Annelie Buntenbach ha criticato la proposta, dichiarando che i Minijobs "non sono un trampolino di lancio per un buon lavoro, piuttosto un vicolo cieco, che soprattutto per le donne si conclude con la povertà in vecchiaia". Gli occupati con un minijob ricevono in media un salario orario di meno di 8 €. Un aumento del limite massimo per i minijobs, farebbe aumentare in futuro il numero di lavoratori che ricevono un basso salario (meno di 10 € lordi all'ora).

L'esperto di mercato del lavoro Johannes Vogel (FDP) non è daccordo. L'accusa secondo cui i minijobs servirebbero a rimpiazzare i lavori regolari con obbligo assicurativo, non si dimostra vera alla prova dei fatti, ha dichiarato alla FAZ. Da qualche tempo è in crescita il numero degli occupati, mentre la quota dei minijobs non cresce affatto. Anche nel settore del commercio e della gastronomia, preso sempre come esempio, un tale sviluppo non è stato notato. "Anche i minijobs sono parte del boom nel mercato del lavoro tedesco. Offrono una facile possibilità di guadagnarsi qualcosa. In questo modo contribuiscono a combattere efficacemente il lavoro nero" ha dichiarato sempre Vogel. Un aumento salariale dopo 10 anni senza recupero dell'inflazione sarebbe "solamente equo". In Germania al momento ci sono circa 7 milioni di occupati con un minijobs.

giovedì 23 agosto 2012

Weidmann non fermerà Draghi

Secondo Mark Schieritz, la Bundesbank non riuscirà a fermare Draghi, e fino a quando Merkel non attaccherà apertamente la BCE, il programma di acquisto del debito può andare avanti. Da Zeit.de


La notizia secondo cui la BCE avrebbe intenzione di introdurre un tetto agli interessi per le obbligazioni del sud Europa, ha scatenato un rally sui mercati. Ciò solleva la questione: cosa sarà deciso nella prossima riunione della BCE? Qualcuno resterà deluso? 

Secondo quello che ho sentito, la situazione si presenta così: nei gruppi di lavoro dell'Eurosistema - soprattutto presso la direzione generale delle operazioni di mercato sotto la guida di Ulrich Bindseil - si mettono a punto diversi modelli. Non è insolito che si testino diverse opzioni, e anche con il LTRO a suo tempo si è fatto lo stesso.

Ho anche sentito, che il Consiglio della BCE non intende rendere pubblico il limite massimo accettabile per il premio di rischio rispetto ai bund tedeschi. Ci sono alcuni membri del consiglio che vorrebero renderlo pubblico, ma non c'è una maggioranza e anche il presidente dovrebbe essere contrario. Draghi è un diplomatico molto intelligente ed è in stretto contatto con i membri di alto livello del governo federale tedesco. Sa precisamente fino a dove può spingersi, senza provocare l'opposizione aperta di Berlino. E Berlino non sarebbe pronta ad avallare un tetto massimo ai rendimenti.

Inoltre, la BCE ha bisogno del sostegno di Berlino. Fino a quando avrà come solo avversario la Bundesbank, Draghi potrà continuare con il suo corso. Weidmann da solo non riuscirà a far insorgere l'opinione pubblica tedesca contro la BCE: non è il tipo per una cosa del genere, e la Bundesbank con tutto il rispetto che si merita, non è abbastanza forte.

Se  Angela Merkel dovesse criticare apertamente la BCE, allora questa dovrà iniziare a preoccuparsi seriamente del suo sostegno in Germania. Merkel è effettivamente l'alleato involontario di Draghi contro Weidmann. Per i partecipanti è una interessante ma non confortevole alleanza, se si pensa che Weidmann ha consigliato a lungo la cancelliera, e ancora lo fa.

Se non sarà reso pubblico un limite massimo ai tassi di interesse accettati, che cosa accadrà? Io penso che la BCE segnalerà pubblicamente che non tollera differenze estreme nei tassi di interesse, (forse attraverso la formulazione, "spread eccessivi non sono benvenuti") e agirà in questa direzione. Ma solo se i paesi in questione soddisferanno le condizioni necessarie per l'attivazione di un programma di acquisti del fondo EFSF/ESM.

Naturalmente la banca centrale avrà bisogno internamente di un'ipotesi sul livello ideale degli spread, altrimenti non potrà valutare in quale momento intervenire. Dopo tutto, un tasso massimo di interesse interno era presente anche nei precedenti programmi di acquisto. La differenza principale, è che allora la dimensione dell'intervento era limitata.

Questa volta la limitazione verrà rimossa, e questo Draghi lo ha già lasciato intendere. In ultima analisi, si sta solo rendendo operativa l'apertura fatta da Draghi - e il contenuto informativo dell'annuncio a mio parere non è poi cosi' importante. Ma i mercati, dopo tutto, sono quello che sono.

La domanda interessante è perché l'operazione è diventata pubblica. Ci sono 2 possibilità plausibili. O la BCE ha lanciato la proposta perchè voleva testare la reazione in Germania e vedere se era possibile andare avanti. Oppure la Bundesbank ha diffuso l'idea perchè intendeva mobilitàre l'opinione pubblica tedesca. Se fosse stata la BCE, sarebbe allora una manovra davvero maldestra: le aspettative di mercato causate dall'annuncio, mettono Draghi sotto una enorme pressione. Allo stesso tempo la Germania sull'argomento è diventata molto sensibile, e starà molto attenta a cosa la BCE farà.


mercoledì 22 agosto 2012

Sinn: fuori gli eurodeboli!


Hans Werner Sinn, dalle colonne di WirtschaftsWoche, torna a chiedere un'uscita di Atene e degli altri paesi in crisi dall'Euro. Un ulteriore taglio del debito greco non avrebbe alcun senso.

La richiesta del Fondo Monetario Internazionale (FMI) di un ulteriore taglio del debito greco è assurda. La politica deve finalmente prendere atto del fatto che l'Euro con i membri attuali non può sopravvivere - e che l'Eurozona deve essere ridotta ad un nucleo di stati capaci di far funzionare la moneta unica.

Vi ricordate ancora del maggio 2010? Allora il debito greco, pari a circa 310 miliardi di Euro, era prima di tutto nelle mani degli obbligazionisti privati. E si diceva: in nessun caso gli investitori privati potranno essere coinvolti da un taglio del debito, perchè questo avrebbe causato il crollo dell'economia mondiale. Cio' ha portato ai giganteschi pacchetti di salvataggio per 246 miliardi di Euro, di cui fino ad ora 149 miliardi di Euro sono stati già pagati. Poichè questo non è bastato, nel marzo 2012 è stato fatto un Haircut, con il quale il debito greco è stato ridotto di 107 miliardi di euro. E' stato uno dei piu' grandi tagli del debito della storia.

Ma non è servito a molto. Ogni analisi seria sulla sostenibilità del debito dovrebbe arrivare alla conclusione, che la Grecia non può far fronte ai restanti 280 miliardi di Euro di debito, pari al 132 % del PIL. Questo messaggio dovrebbe essere contenuto anche nell'analisi della Troika (BCE, IMF, EU) prevista in autunno.

La conseguenza logica è la seguente: la prossima tranche dei fondi autorizzati, che avrebbe portato alla Grecia (o meglio ai suoi creditiori) 33 miliardi di Euro, non dovrà essere pagata. A meno che i parlamenti dell'Eurozona non rinuncino alle loro richieste - cosa improbabile data la resistenza crescente al Bundestag.

Se si utilizzano i consueti calcoli di sostenibilità del debito, c'è solo una possibilità per arrivare ad una valutazione positiva nel caso della Grecia: i debiti devono essere ridotti, prima che il rapporto della Troika sia completato. Solo così è possibile spiegare che il FMI richieda  una rinuncia ad una parte dei crediti da parte della comunità internazionale nei confronti della Grecia. L'idea del FMI: se gli stati rinunciassero al 30% dei loro crediti concessi con i pacchetti di aiuto allo stato greco - circa 45 miliardi di Euro, che per la Germania equivarrebbe ad una perdita di 14.5 miliardi di Euro - la quota del debito da qui al 2020 scenderebbe al 100 % del PIL. Allora la strada sarebbe di nuovo libera, per prestare denaro alla Grecia.

Che grande idea. I debiti sono troppo alti per il servizio del debito, allora bisogna tagliare i vecchi debiti, in modo che ne possano essere fatti di nuovi. La comunità internazionale non deve piegarsi a questa logica avventurosa. La Grecia, con o senza un'analisi sulla sostenibilità del debito, non è solvibile, e questo lo sanno tutte le parti coinvolte. La spiegazione (o meglio il trucco) per molti analisti è che assumono sempre una crescita dell'economia. Se un paese cresce, si può permettere anche dei deficit, perchè l'economia cresce insieme ai debiti. 

Ma la Grecia non deve crescere, ma decrescere, per poter ridurre le eccessive importazioni e per poter generare eccedenze nelle partite correnti. Senza i surplus, non sarà mai possibile un rimborso del debito. Le analisi sulla sostenibilità del debito del FMI non sembrano proprio essere corrette.

Un paese che non cresce, può far fronte ai suoi debiti, solo se riesce a ottenere un avanzo. Questi avanzi possono essere realizzati solo dopo una contrazione, che ha inizio, quando i crediti smettono di fluire. Questa è l'amara verità. Chi vive al di sopra dei propri mezzi, può sostenere i propri debiti solo se riduce il proprio standard di vita.

Con le analisi sulla sostenibilità del debito si sono già fatti molti errori. Dedurre da queste che in Grecia è necessario un nuovo taglio del debito è grottesco.

Il problema della Grecia è e rimane: il paese è ancora troppo costoso. Lo stato ha aumentato gli stipendi dei dipendenti pubblici dall'inizio della crisi finanziaria del 30%, prima che il governo prendesse poi le note correzioni. Nonostante ciò, i suoi salari, secondo gli ultimi dati, restano ancora piu' alti che all'inizio della crisi. 

I prezzi della Grecia durante la crisi sono cresciuti del 5% in piu', rispetto ai prezzi dei concorrenti nell'area Euro. Non vi è ancora nessuna traccia della necessaria svalutazione reale, che secondo le analisi sul potere di acquisto dell'OCSE dovrebbe essere del 39%, per raggiungere il livello dei prezzi turco. 

Che cosa bisogna fare allora? I paesi ancora abbastanza solidi dell'Eurozona non devono piu' piegarsi ai trucchi contabili degli acrobati finanziari, ma piuttosto devono utilizzare il buonsenso. L'Euro con i membri attuali non è in grado di sopravvivere. Deve essere ridotto ad un nucleo di paesi capaci di farlo funzionare, mentre gli altri stati avranno di nuovo bisogno delle loro valute nazionali, per poter svalutare e tornare ad essere di nuovo competitivi.

La politica non puo' continuare a posticipare le necessarie decisioni, per quanto difficili queste possano essere.

martedì 21 agosto 2012

Il sangue dei creditori


FAZ.net, con un commento di Holger Steltzner, vicedirettore del quotidiano conservatore di Francoforte, attacca di nuovo la BCE di Draghi: saranno i creditori a dover soffrire.

La BCE si prepara ad introdurre dei tassi massimi di interesse per gli stati. In questa economia pianificata dalla banca centrale, dove la BCE decide gli interessi per i capitali, la repressione finanziaria sarà realizzata con un programma di bassi tassi di interesse forzati. L'obiettivo è chiaro: i creditori dovranno perdere sangue, per poter aiutare i debitori.


La BCE è pronta a fare di tutto per salvare l'Euro. Che il suo statuto e i trattati impediscano un finanziamento diretto degli stati, che i 2 precedenti rappresentanti tedeschi abbiano lasciato il consiglio BCE per protesta contro l'acquisto di titoli di stato, che la BCE abbia già acquistato obbligazioni statali per oltre 200 miliardi di Euro, che i miliardi di liquidità iniettati da Draghi con il "Dicke Bertha" (LTRO) non abbiano avuto successo - tutto questo non impedisce alla Banca centrale di pianificare l'uso di altre armi di annientamento (bazooka). La mancanza di successo - 4 dei 5 paesi, i cui titoli sono stati acquistati dalla BCE sono finiti sotto il fondo di salvataggio - non viene considerata. Si sostiene che solo dei mezzi illimitati potranno garantire il successo - sebbene il bilancio della BCE abbia già raggiunto un terzo della PIL della zona Euro.

Solo con condizioni molto rigide?

Per impressionare il mercato, la BCE prepara l'introduzione di un tasso di interesse massimo per i titoli di stato. Un tetto agli interessi renderebbe la vita dei ministri delle finanze dei paesi indebitati molto piu' semplice. Non dovrebbero piu' affrontare le richieste dei fondi pensione e degli altri investitori, che per il loro rischio pretendono un premio piu' alto, ad esempio il 5%. I "paesi salvatori" non dovranno invece piu' prendere in considerazione i giudizi irrispettosi delle agenzie di rating americane. Naturalmente gli "interessi d'ufficio" dovrebbero essere concessi solo a condizioni molto rigide. Solo quando la Spagna avrà presentato la sua richiesta di aiuto al fondo EFSF/ESM, la BCE potrà intervenire. Ma che cosa farà la BCE, se - come tante volte in passato - le riforme promesse in Grecia o in un altro paese venissero rimandate. L'argomento della BCE è che un circolo vizioso fatto di alti interessi e debito crescente sarebbe fatale per gli stati: ma se la BCE prendesse veramente sul serio questo punto, non potrebbe piu' uscire dal programma di acquisto dei titoli.

Nel regime degli interessi d'ufficio, la BCE non solo determina i tassi di interesse, ma  anche gli interessi per il credito nel mercato dei capitali. In questa economia pianificata dalla Banca centrale, non sono piu' i partecipanti al mercato a definire il prezzo dei capitali, ma è la BCE a determinare i tassi di interesse: il risultato sarà una repressione finanziaria forzata dagli artificiali bassi tassi di interesse. L'obiettivo è chiaro: saranno i creditori a dover perdere sangue, per poter aiutare i debitori. Perciò la BCE potrebbe ricevere gli applausi di entrambe le parti - ma non da tutti in Germania.